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Perché serve un vero piano Delors 2.0

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Domenico Cacopardo apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

È difficile immaginare una congiuntura più favorevole per il rilancio del processo di integrazione europea: il successo dei partiti populisti e antieuropei, particolarmente significativo in Francia e nel Regno Unito, potrebbe spingere i leader dei paesi associati a pigiare l’acceleratore in cerca di un nuovo assetto politico del pachiderma di Bruxelles. Un’Unione consapevole dei problemi provocati da una burocrazia ottusa, capace di approvare il regolamento sul calibro delle zucchine e di dimenticare nel cassetto qualsiasi iniziativa per il rilancio dell’economia. Molti, e io fra questi, rimpiangono Delors e il suo piano di investimenti in infrastrutture del valore di 300 miliardi di dollari (anni ’80), caduto per le concorrenti opposizioni tedesca e inglese.

UNO CHOC DI INVESTIMENTI

Oggi, nonostante Angela Merkel, ci vuole qualcosa del genere: uno choc di investimenti capace di mobilitare migliaia di aziende e milioni di lavoratori in un’opera di ammodernamento delle strutture fisiche e informatiche e di produrre stabili effetti di ripresa sostanziale per un futuro non remoto. Si è autorevolmente indicata in1000 miliardi di euro la somma necessaria. Non sarà facile, finché il cosiddetto rigore la farà da padrone. Paradossalmente, l’orologio della Storia (quello malamente invocato da Mussolini il 10 giugno 1940) suona un’altra volta per noi: emarginati dal concerto dei grandi, considerati la pecora nera dell’Unione, oggi, dopo l’irruzione di Matteo Renzi, torniamo a essere cruciali, così come non eravamo mai stati, nemmeno nei tempi più mitici.

IL FUTURO DELL’EUROPA

Il futuro europeo non è nelle mani di Hollande, un leader senza leadership, colpito a morte dai propri errori, dalla propria insufficienza e da un’acritica adesione al mortifero presupposto di una grandeur da tempo dissoltasi. Non in quelle di Cameron, vittima –con tutto il suo Paese- di questo essere e non essere, un po’ europei un po’ antieuropei, dimenticando che, nella vita e nella politica, i principi fondamentali debbono essere onorati: e l’integrazione confligge solo con i residui di una mentalità imperiale che il West End ha da tempo abbandonato. La Spagna seguirà l’Italia, non può fare altrimenti. La Germania, alla fine, dovrà ragionare, dato che il suo destino è più legato all’Europa di quanto non si creda.

L’EVOLUZIONE ITALIANA

L’aspetto più convincente dell’evoluzione italiana è rappresentato dall’agenda imposta al parlamento da Renzi: diversamente dal piccolo Monti e dal timido Letta, il premier ha guardato alle necessità nazionali, prima fra tutte quella di rimettere in moto la macchina, abbandonando il bicameralismo perfetto e una regionalizzazione utile solo a chi intende sbarrare il passo a ogni iniziativa di interesse generale. In questo modo, le attese degli italiani si sono risvegliate tanto da scommettere, con il voto, sul futuro. Così dovrà essere trattato il dossier Europa, investendo il peso conquistato sulle questioni più urgenti per mettere in moto la macchina continentale, si tratti di economia, si tratti di istituzioni, si tratti di questioni sociali.

UN PASSO IN AVANTI NELL’INTEGRAZIONE

Il tutto si terrà solo se, nelle priorità, sarà inserito un deciso passo in avanti nell’integrazione: dal fisco alla giustizia, dalla difesa alla politica estera, meno chiacchiere più decisioni (a maggioranza) vincolanti, più azioni politiche mirate. La palla è, in buona parte, nelle mani del primo ministro più giovane della compagnia. Se saprà spendere il tesoro di credibilità di cui dispone, tempi migliori potranno venire presto, in un domani non indefinito.


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