Non deve essere la cultura dell’emotività immediata e della rottamazione a prevalere nella discussione sulla riforma del Senato. Non può essere “immunità sì o no” lo schema su cui confrontarsi e dividersi. Per il costituzionalista Francesco D’Onofrio, Matteo Renzi e Maria Elena Boschi sbagliano a non considerare la questione come centrale: “E’ centrale e di primaria importanza. Ma va chiarita rispondendo prima a due domande: cosa fanno e a cosa servono i nuovi senatori?”.
RISCHIO DISCRIMINAZIONE INCOSTITUZIONALE
Per il professore emerito della Sapienza, ed ex ministro dell’Istruzione nel primo governo Berlusconi, c’è molta confusione nell’aria: “Mi sembra ci sia ancora molto di indeterminato nella riforma. Per esempio, non si è ancora capito se i consiglieri regionali eletti in Senato rimarranno a fare anche i consiglieri regionali o meno. Nel primo caso, con l’immunità, si creerebbe una discriminazione incostituzionale tra chi è solo consigliere e chi è consigliere-senatore. La Costituzione oggi infatti prevede per deputati e senatori l’immunità dall’arresto, per i consiglieri regionali solo l’immunità per le opinioni espresse e per i sindaci nessuna delle due. Se i consiglieri o i sindaci eletti faranno solo i senatori invece ha senso parlare di immunità. Ma non sarebbe allora un Senato senza stipendi”.
L’ONDA GIUSTIZIALISTA
Nessuna chiusura a priori sulle modifiche all’immunità, dice D’Onofrio, ma “con la logica del buon senso. L’immunità è stata inserita dalla Costituente con il bicameralismo perfetto e in un’ottica ragionata di bilanciamento e di autonomia con la magistratura. Ora non la si può rottamare con una riga sul foglio, sull’onda dell’emotività immediata e del giustizialismo”.