Come vanno le esportazioni italiane? E’ un fatto noto che la domanda estera netta (export meno import) è stata l’unica componente di spesa che nella recessione ha fornito un contributo al sostegno del PIL. Ciò è stato possibile anche per una performance delle vendite italiane nei mercati di sbocco migliore rispetto agli anni passati. La spinta è provenuta non tanto dall’estensione del menù di prodotti-destinazioni in cui si articola l’export italiano, quanto da una sostanziale intensificazione dello sforzo di esportazione a parità di prodotti esportati e destinazioni servite. Mentre sul primo fronte (estensione) la performance dell’Italia è stata negativa rispetto ai partner, sul secondo (intensità) i risultati sono stati molto migliori.
ESPORTAZIONI
La relazione di Banca d’Italia evidenzia che le esportazioni di beni a prezzi costanti sono aumentate nell’ultimo quadriennio (+22,9% tra il 2009 e il 2013) più dei mercati di sbocco (+20,1%), determinando, dopo diverso tempo, un guadagno di quote in volume delle merci italiane. I mercati del nostro Paese (per il 40% costituiti dalle economie appartenenti all’area euro) sono, però, cresciuti meno del commercio mondiale (+28%), talché la quota italiana in volume commisurata al totale dei traffici internazionali ha subito un’erosione.
BILANCIO POSITIVO
Al netto, dunque, di un effetto mercato sfavorevole (l’Italia ha venduto di più lì dove le economie crescevano meno), la dinamica dell’export italiano negli anni recenti è stata complessivamente positiva, contribuendo a fornire un parziale sostegno al PIL nel corso dell’ultima recessione. Gli spazi disponibili per le nostre merci sembrano essere stati sfruttati, la competitività rivelata dalla performance effettiva delle vendite all’estero è migliorata. Certo, si poteva fare di più sganciandosi maggiormente dall’Europa e puntando su mercati più distanti e dinamici. Ma le caratteristiche dimensionali e, soprattutto, di governance di molte nostre imprese esportatrici, nonché l’effetto di attrazione esercitato dall’essere pienamente integrati nell’area dell’euro (di fatto un mercato quasi domestico) costituiscono fattori condizionanti della geografia degli scambi di non facile superamento in un periodo di tempo limitato.
QUALCHE CONFRONTO
Se questi sono i tratti essenziali dell’andamento complessivo dell’export italiano negli ultimi anni, un aspetto da indagare riguarda la performance nei confronti delle economie con cui l’Italia condivide la moneta unica e rispetto alle quali deve effettuare un processo di riequilibrio competitivo. Le esportazioni sono misurate in volume, adottando come deflatori dei valori in euro correnti i prezzi alla produzione dei prodotti industriali sui mercati esteri. la forte perdita di quota rispetto all’economia tedesca, in atto dall’avvio dell’euro, si è interrotta nel 2010. A partire da quell’anno le esportazioni italiane sono cresciute in linea con quelle della Germania. Ciò implica, ovviamente, che in rapporto al commercio mondiale la quota delle esportazioni dei due paesi si è mossa, dal 2010, allo stesso modo. E’ un risultato da leggere positivamente, tenuto conto che il benchmark è costituito da imprese super-competitive, nei cui confronti gli esportatori italiani sono stati in grado di fermare la perdita di posizioni.
UNO SGUARDO AL PASSATO
Rispetto agli altri paesi euro la performance del nostro Paese si caratterizza, dall’origine della moneta unica, per una tenuta migliore, a conferma che la crisi italiana di quote dello scorso decennio è stata principalmente nei confronti della Germania, ovvero del paese che ha guadagnato competitività in modo generalizzato nei confronti dei partner euro. Con riferimento all’ultimo periodo, si vede che, dopo una riduzione tra il 2008 e il 2009, le esportazioni dell’Italia hanno preso a crescere, anche in questo caso, in linea con gli altri partner euro.
LA SPAGNA
Tra questi paesi ci sono, però, economie con performance molto diverse, quali la Francia, rispetto a cui l’Italia ha migliorato la propria posizione sin dall’inizio dell’euro, e i cosiddetti periferici (Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda) che, con l’Italia, si trovano impegnati in processi anche più severi di riequilibrio. Come si posiziona il nostro paese rispetto al loro sforzo di aggiustamento? Il confronto con l’economia periferica più importante per dimensioni di export: la Spagna, portata a esempio negli ultimi tempi per avere cominciato a evidenziare i frutti di un miglioramento competitivo in termini di costi unitari di produzione. E, in effetti, l’evoluzione delle esportazioni spagnole rispetto alla Germania è stata superiore a quella dell’Italia e, di conseguenza, come le vendite sui mercati esteri di merci iberiche sono cresciute più di quelle italiane sin dall’uscita dalla “prima” recessione, nel 2009; un andamento che si è accentuato lo scorso anno.
PRODOTTI E DESTINAZIONI
Un esame della composizione per prodotti e destinazioni delle esportazioni delle economie considerate consente di gettare maggiore luce sui fattori sottostanti alle differenze di performance. In generale, le esportazioni variano a seguito di modifiche nei loro cosiddetti margini estensivo e intensivo. Col primo termine (margine estensivo) si intende il fatto che le esportazioni possono aumentare perchè se ne accresce l’estensione, vale a dire il numero di prodotti esportati e di destinazioni che con quei prodotti si riescono a raggiungere. Col secondo termine (margine intensivo) ci si riferisce, invece, al fatto che le esportazioni possono incrementarsi perché ne aumenta l’intensità, vale a dire cresce il valore dell’export a parità di combinazioni prodotto-destinazione.
GERMANIA, FRANCIA, SPAGNA E ITALIA
Le esportazioni italiane in valore corrente sono aumentate, tra il 2010 e il 2013, come quelle della Germania, più della Francia, meno della Spagna. Tale performance per l’Italia ha sotteso una modesta dinamica del margine estensivo, inferiore a quella di tutti gli altri partner, e una forte crescita di quello intensivo, ovvero delle esportazioni per combinazione prodotto-destinazione. L’aumento dell’intensità dell’export italiano supera in modo sostanziale gli incrementi sperimentati, per lo stesso margine, dalle altre economie. La dinamica delle vendite all’estero dell’Italia si è, dunque, caratterizzata per un notevole sforzo di intensità che ha compensato i limitati progressi conseguiti in termini di estensione di prodotti-destinazioni.
ESTENSIONE E INTENSITA’
Queste dinamiche hanno dato luogo a un’opposta performance dell’Italia rispetto ai partner europei lungo i due margini presi in considerazione: perdita relativa per quel concerne l’estensione, guadagno sostanziale per quanto riguarda l’intensità. Questa evidenza appare in qualche misura conforme a quella derivante dai dati aggregati, di un effetto mercato negativo (gli esportatori non si sono spinti verso nuove destinazioni più dinamiche) e di un positivo effetto prodotto/competitività (le merci italiane hanno guadagnato quote nei loro tradizionali mercati di sbocco).
L’EXPORT SPAGNOLO
L’export spagnolo ha sotteso una compressione del margine intensivo a cui si è contrapposta una più che proporzionale espansione di quello estensivo. In altri termini, le esportazioni della Spagna sono aumentate, tra il 2010 e il 2013, più di quelle dei partner europei unicamente perché l’economia iberica è stata in grado di accrescere in modo significativo il numero di combinazioni di prodotti-destinazioni in cui si articola il suo export. Scomponendo ulteriormente il margine estensivo è possibile evidenziare gli elementi che sono stati alla base di questo forte aumento. Esso non è attribuibile alle componenti singolarmente considerate del numero dei prodotti venduti all’estero (diminuiti, come nelle altre economie) e del numero delle destinazioni (cresciute più che negli altri paesi, ma in misura contenuta). Ciò che ha guidato l’allargamento del margine estensivo dell’export spagnolo è stato il marcato incremento della densità, ovvero il fatto di avere sospinto, nell’ambito delle combinazioni prodotto-destinazione disponibili per la Spagna, la penetrazione dei prodotti iberici in un numero sostanzialmente più grande di mercati.
RECUPERO COMPETITIVO
A quali fattori attribuire il diverso comportamento delle esportazioni italiane e spagnole? Non disponendo di informazioni su come è variato il terzo soggetto in cui si sviluppa il margine estensivo, ovvero il numero di imprese esportatrici, a questo livello di analisi non si può che delineare ragionamenti che richiedono ulteriori approfondimenti. Una spiegazione si potrebbe forse trovare nelle differenti esperienze di recupero competitivo realizzate, nel periodo esaminato, da queste economie. Le dinamiche nei due paesi dei prezzi all’esportazione (in Italia cresciuti tra il 2010 e il 2013 meno che in Spagna) e dei costi unitari del lavoro (in Italia aumentati più che in Spagna) sembrano indicare che la redditività media dell’attività di esportazione sia migliorata nell’economia iberica più che in quella italiana. Ciò potrebbe essersi tradotto nel caso spagnolo nel rendere profittevoli le vendite dei prodotti esportati anche in destinazioni che prima non venivano raggiunte perché eccessivamente distanti e, quindi, costose, dando luogo al sostanziale aumento dell’estensione dell’export. Nel caso italiano, l’insufficiente crescita della redditività delle esportazioni si sarebbe, invece, accompagnata a modeste variazioni del margine estensivo e all’incremento di intensità dello sforzo di vendita dei prodotti nelle destinazioni che risultavano già inizialmente (nel 2010) profittevoli.
LE DIFFERENZE CON LA SPAGNA
Se il risultato netto delle due “strategie” sembra premiare la Spagna (le cui vendite all’estero sono aumentate più di quelle dell’Italia), occorre anche tenere presente che lo squilibrio competitivo da correggere è diverso nelle due economie, più grande nel caso iberico che in quello italiano. Secondo recenti stime che tengono conto delle differenti distribuzioni delle imprese per livelli di efficienza nei paesi euro3, il deprezzamento del cambio reale spagnolo necessario per l’eliminazione del gap competitivo sarebbe di 2,5-4 volte più elevato di quello richiesto all’Italia. Tenendo conto che il grosso dell’aggiustamento deve essere realizzato attraverso una svalutazione interna (e, quindi, con un peggioramento del mercato del lavoro), la differenza nell’entità del richiesto riequilibrio competitivo trova un riflesso nella dimensione del deterioramento del tasso di disoccupazione: in Spagna, dall’inizio della crisi, la quota dei disoccupati sulle forze di lavoro è aumentata in misura tripla rispetto a quanto si è verificato in Italia. Sotto questa prospettiva, la migliore performance delle esportazioni della Spagna non è che l’altra faccia del peggiore andamento del suo mercato del lavoro.