Le “novità” del Concilio Vaticano II furono soltanto pastorali oppure anche dottrinali? La Fede proclamata durante questa storica assise è “cambiata” nella forma od anche nella sostanza?
Sono domande cui cerca di rispondere il libro Il Vaticano II. Un Concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari, edito nelle scorse settimane dall’editore David Cantagalli di Siena (pp. 490, € 25.00), scritto da p. Serafino M. Lanzetta, un giovane teologo dell’Istituto religioso dei Frati Francescani dell’Immacolata.
UNA ADEGUATA INTERPRETAZIONE DEL VATICANO II
Il libro nasce come tesi di abilitazione alla libera docenza, conseguita da padre Lanzetta presso la Facoltà Teologica di Lugano (Svizzera), sotto la direzione di un accreditato mariologo, Don Manfred Hauke. L’opera si avvale di numerose fonti “di prima mano”, documenti d’archivio, soprattutto perizie di teologi della Commissione dottrinale e di scambi epistolari significativi tra i Padri del Concilio e con lo stesso Pontefice Paolo VI.
«Lo studio di P. Lanzetta – scrive nella sua presentazione il prof. Hauke, che è docente di Dogmatica nella facoltà teologica dell’Università di Lugano – fornisce un approccio di grande respiro, attento alle fonti storiche e alle varie proposte d’interpretazione negli ultimi decenni. (…) è una trattazione brillante del tema scelto. L’autore conosce bene la discussione temporanea e le fonti del Vaticano II. La tesi porta un contributo originale nuovo sia dal punto di vista storico (…) sia dal lato della riflessione sistematica. L’autore non si accontenta di presentare le varie posizioni (ciò avviene in maniera precisa), ma fa anche delle proposte chiarificatrici che possono illuminare il dibattito attuale. Vengono toccati dei temi centrali (la discussione sulle fonti della Rivelazione, l’ecclesiologia, la mariologia, l’ermeneutica delle affermazioni magisteriali…). Tutti i vari aspetti sono finalizzati a capire meglio il significato e la portata della dottrina conciliare» (pp. 9-10).
L’APPORTO TEOLOGICO DEL CONCILIO
P. Lanzetta ricostruisce passaggi storici nodali del Concilio Vaticano II, nei quali si vede Paolo VI che attentamente segue i lavori dell’assise e, particolarmente, quelli della Commissione teologico-dottrinale. S’informa costantemente presso il Card. Alfredo Ottaviani, allora presidente della Commissione, sulla grande questione della “Tradizione costitutiva” (la tradizione orale ci dona alcune verità di fede che non si trovano neppure implicitamente nella S. Scrittura, se non quando questa è letta alla luce della Tradizione, che precede la formazione delle Scritture e segue, diventando vita stessa della Chiesa), la quale per alcuni era da limare, mentre per altri da lasciare in modo generico, o da presentare in modo più ecumenico in quella che diventerà poi la costituzione dogmatica Dei Verbum.
Mentre vari periti e poi alcuni padri conciliari avevano opinioni diverse al riguardo, Paolo VI voleva invece che si dicesse chiaramente il tenore costitutivo della Tradizione apostolica, citando al proposito il noto testo di Sant’Agostino in De baptismo contra Donatistas (V, 23,31), nel quale il dottore della Chiesa afferma questa fede della Chiesa: molte cose che gli Apostoli hanno insegnato non sono reperibili nelle Scritture.
Si entrava, così, nel problema della duplicità delle fonti della Rivelazione, che il Concilio voleva superare mettendo l’accento più sulla Rivelazione che sulle fonti della sua trasmissione. Il testo finale di Dei Verbum 9 preferì alla fine una formulazione “neutrale”, afferma Lanzetta, che sfuma il problema, toccandolo solo lateralmente: «la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura…».
Il Vaticano II. Un Concilio pastorale
Il lavoro di Padre Lanzetta arricchisce, con tasselli nuovi e argomentazioni convincenti, gli approfondimenti che da diversi anni vanno sviluppandosi, con sempre maggiore intensità e determinazione speculativa, su quell’evento che ha prodotto un vero e proprio “cambio di passo” nella Chiesa, il Concilio Vaticano II.
Fra la documentazione che il religioso ha tratto dagli archivi, oltre all’importante e sopra accennato intervento di Paolo VI sulla Dei Verbum, vi sono significativi documenti rinvenuti nell’Archivio Segreto Vaticano, dove Lanzetta trova il prezioso carteggio con il Cardinale Ottaviani dal quale emerge la preoccupazione di Papa Montini per l’imminente approvazione del documento sulla Bibbia (De Divina Revelatione), manifestando l’esplicito desiderio di sottolineare il ruolo della Tradizione costitutiva della Fede (p. 245).
Lo stesso Paolo VI, l’8 dicembre 1966, ad un anno dalla chiusura del Vaticano II, in un discorso che ricorda quello che pronuncerà alla Curia romana, 39 anni più tardi, Benedetto XVI (22 dicembre 2005) condannò chi presentava il Vaticano II come «una rottura con la tradizione dottrinale e disciplinare che lo precede, quasi ch’esso sia tale novità da doversi paragonare ad una sconvolgente scoperta, ad una soggettiva emancipazione, che autorizzi il distacco, quasi una pseudo-liberazione, da quanto fino a ieri la Chiesa ha con autorità insegnato e professato, e perciò consenta di proporre al dogma cattolico nuove e arbitrarie interpretazioni, spesso mutuate fuori dell’ortodossia irrinunciabile, e di offrire al costume cattolico nuove ed intemperanti espressioni, spesso mutuate dallo spirito del mondo; ciò non sarebbe conforme alla definizione storica e allo spirito autentico del Concilio, quale lo presagì Papa Giovanni XXIII. Il Concilio tanto vale quanto continua la vita della Chiesa; esso non la interrompe, non la deforma, non la inventa; ma la conferma, la sviluppa, la perfeziona, la “aggiorna”».
Padre Lanzetta, in definitiva, interroga il Concilio, volendo scoprire soprattutto la sua mens, che è all’origine delle scelte e delle decisioni che, a suo avviso, non sempre hanno chiaramente distinto il campo pastorale da quello dottrinale, «per il semplice fatto che non si dà né una definizione dell’uno né dell’altro, ma spesso, i due lemmi impiegati nella loro accezione tradizionale, servono ora a confermare la sana teologia, ora a lasciare ancora il dato dottrinale alla teologia, ora a provocare uno sviluppo che necessariamente coinvolge la fede e la sua dottrina» (p. 32).