Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Dopo averlo snobbato, ignorato, e pretermesso per un ventennio, Silvio Berlusconi ha improvvisamente scoperto il presidenzialismo. Dottrina che ha radici antiche nell’anima della destra italiana, tanto che il vecchio MSI ne fece una bandiera ai tempi della velleitaria “alternativa al sistema” e ancor prima Giorgio Pisanò e Giano Accame promossero un Movimento per la Seconda Repubblica, mentre, nella salutare temperie che precedette e preparò la nascita di Alleanza Nazionale, Pinuccio Tatarella ne fece un’apprezzata, se pur breve, rivista, Repubblica Presidenziale.
Poi, nei lunghi anni di governo, il centrodestra lo svendette, dimenticandolo, in favore, prima al semipresidenzialismo alla francese, poi del premierato, gradito a Berlusconi e, infine e sciaguratamente, del federalismo, gradito alla Lega. Ora Berlusconi lo riscopre e lo rilancia, ma solo in chiave propagandistica, mentre il Paese attende ben altre e più importanti riforme, per ridar fiato alla produzione e all’occupazione.
È, purtroppo, la solita foglia di fico, con la quale uno stanco, spento, ondivago, incerto e svuotato Berlusconi cerca di supplire alla mancanza di una seria e credibile risposta di Forza Italia ai gravi problemi del Paese e di riconquistare la spenta leadership di un centrodestra sempre più disunito, rissoso e confuso. Spiace notare che ci sia già qualcuno che gli crede e nuovamente lo segue, come il mio caro amico Italo Bocchino, giornalista sveglio e capace, al quale invio sinceri auguri per “l’impresa impossibile” alla quale è stato chiamato da un rigurgito di intelligenza dei vecchi colonnelli di An: il rilancio di un quotidiano morto da tempo, che nessuno legge più, di cui nessuno si è sino ad oggi accorto, che costa alla Fondazione An un mucchio spropositato di quattrini (qualcuno un giorno ne potrebbe chieder conto) e che serve solo a un ristretto manipolo di protetti e di ex deputati per lucrare un minimo di stipendio. Impresa titanica e, per giunta, miseramente ostacolata da un’ondata di marciume e vecchiume correntizio, condita di livori, invidie, gelosie, frustrazioni, avversioni, ritorsioni, recriminazioni, ideologismi, fanatismi e, persino, anatemi vedovili.
Alla destra e al centrodestra serve ben altro che un vecchio giornale e un ancora indefinito e generico presidenzialismo. L’Italia ha un tasso di crescita sostanzialmente vicino allo zero, mentre la disoccupazione continua a salire e si approssima al 14%, toccando fra i giovani la punta massima del 46%, con punte ancora più alte e drammatiche nel Mezzogiorno e fra le donne. L’Europa ci ha, ancora una volta, detto cosa serve e cosa fare: una robusta riforma della Pubblica Amministrazione, che le restituisca efficacia e trasparenza, una drastica lotta alla corruzione pubblica, una maggiore efficienza e speditezza della giustizia civile, una migliore utilizzazione delle ingenti risorse comunitarie.
Mentre si apre il semestre italiano e l’Europa si aspetta queste risposte, il centrodestra dovrebbe impegnarsi in una battaglia, apparentemente nobile, ma sostanzialmente inutile, vacua e fuori tempo massimo, per invocare a parole un presidenzialismo, che la maggioranza non è disposta a concederci? Qualcuno si è chiesto quale accoglienza essa potrebbe avere fra i milioni di giovani inoccupati e senza futuro e i tanti disoccupati disperati, che da poco hanno perso il lavoro?
Suvvia, amici, siamo seri. Sono passati vent’anni e non si può resuscitare un cadavere. Va subito sepolto, per cercare qualcosa di nuovo. Le vecchie alleanze, le vecchie liturgie e, sopratutto, le vecchie leadership vanno accantonate per sempre. Una stagione è finita, prendiamone atto. In tre anni il centrodestra ha perso più di dieci milioni di voti. Un tracollo, che non conosce precedenti.
Che altro ci vuole per capire che occorre un cambio di marcia radicale? Come si può ancora dipendere da un vecchio e debilitato signore che, ogni giorno, prima di pensare al bene del Paese e degli italiani, deve comprensibilmente pensare al suo futuro di detenuto, di condannato e di plurimputato e che, al tavolo delle trattative, insieme al presidenzialismo, si ostina a mettere anche il suo personale destino? Esiste un solo altro Paese al mondo, dove un partito o una coalizione politica si trovano in una condizione peggiore?
Salvatore Tatarella