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Buttanissima Sicilia: più da abbordo che da visitare

La Sicilia è buttanissima, così dice Pietrangelo Buttafuoco dando il titolo al suo ultimo libro, appena uscito per Bompiani. Un libro di denuncia, un susseguirsi di istantanee incendiarie in cui la polemica allunga i canini e accende di rosso gli occhi ARSi dalla congiuntivite dell’invettiva. Buttafuoco c’è l’ha con la politica, con la classe dirigente della Regione che, vittima di troppa autonomia, ha ormai paralizzato ogni arto, ogni muscolo e ogni epitelio dell’isola. Muta, ferma. Un corpo vecchio e imbolsito che ha smarrito ogni capacità di reagire, di produrre alternative e prospettive.
Dal cemento alla cultura, dalla retorica dell’antimafia alla irrilevanza geografica, dall’incapacità di proteggere il territorio all’incuria, alla mancanza di una coscienza civica. Tutto in Sicilia è soggiogato da chi, forte del reddito minimo che garantisce attraverso posti di sopravvivenza nei tanti, troppi uffici pubblici a chi rimane, può fare e disfare. Assumere e licenziare, appaltare e corrompere. Questo è la Sicilia che non attrae risorse dall’esterno eccetto qualche atto di acquisto delle belle e decadenti ville in campagna dei Signori d’un tempo che illuminano l’immaginazione idealizzata di pochi agiati. I quali, ovvio, verranno solo di tanto in tanto a spolverare i saloni in villeggiatura.
Etna dovrebbe darsi da fare, dice Buttafuoco citando Sgarbi, avendo in mente il degrado della strada che, cingendo il collo, del vulcano si inoltra verso Adrano. Non deve essere un caso che Giuseppe Rizzo, per dire, un altro siciliano che pensa e scrive, nella copertina del suo libro “Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia”, mette al centro della copertina un’arancia il cui gambo si fa miccia già appiccata. Ecco. Più la pensi la Sicilia e più ti viene voglia di farla detonare.
Non è buona neanche per farne terra di film, neanche per sedime di creatività. Pure quello si sono mangiati. Rimane la fiction. Eletta a volano per attirare i turisti. E’ tutta una gara ad avere pellicole.
Solo che invecchia la pelle in Sicilia. Troppo sole, sarà. I giovani se ne vanno. E quelli che tornano si lasciano sempre un piede in un’altra staffa, altrove. I giovani se ne vanno e la terra invecchia. L’andazzo rimane sempre quello, si fa prassi. E senza coscienza civica a comandare ci vanno quelli che hanno le famiglie più numerose. Se conta più la famiglia o il numero quello cambia da caso a caso.

C’è da ringraziare gli antichi, i greci, che costruivano meglio di noi. Almeno i templi e i teatri stanno ancora in piedi. Ma tolte le pietre sparse e ordinate, logica e caos, il resto è tutto un premeditato disegno di sventura. Manca l’acqua perché le ATO sono dei colapasta che possono contare, per giunta, delle migliore forze vive dell’isola quanto a giurisprudenza. Quando c’è da fare mbrogghi vengono fuori pure le migliori eccellenze. E’ tutta sotterranea la Sicilia, come un iceberg, quello che si vede è solo un pezzo. C’è tutta quella rete di cunicoli delle zolfatare che Dio solo sa cosa sono diventate. Magazzino per ogni cosa, altro che terra dei fuochi! Perché, quel poco che non riesce a fare l’autonomia, lo fa lo Stato centrale. E poi ci sono i porti. Prendete quello di Pozzallo, che è il più famoso dell’isola. Quanti arrivi!
Il porto non ha mai funzionato per quello che doveva essere e cioè un porto turistico. Il più vicino dell’Europa a Malta, porta del Mediterraneo. Non piaceva ai pescatori perché ovviamente quei poveri disgraziati del mare si rompevano i cabbasisi a vedere improvvisati capitani a boro dei loro motoscafi da diporto fare manovre che manco una donna al volante di un Suv nel parcheggio al supermercato. Non doveva piacere manco alla capitaneria di porto, alla provincia, al comune, al comando dei vigili del fuoco e alla regione (tutti competenti) perché, ogni anno, era sempre la stessa musica. Ad Aprile si ritrovava insabbiato. E così a Giugno, dopo settimane a passarsi la palla, arrivava il consueto triste annuncio: – Il fondale massimo consentito è 80 cm – Addio ai maltesi, quindi, quelli con i soldi e con gli yachts che avevano già prenotato alcune settimane di posto barca. E così per contrappasso, la cosa in cui la Sicilia è sempre prima, tutti quelli che non abbiamo mai saputo attirare, stanno venendo con gli interessi. Un barcone dopo l’altro. E il Sindaco Ammatuna, ancaredda, va su tutti i tg a fare la didascalia pietosa degli accadimenti come se le immagini avessero bisogno del suo commento. Quando invece bisognerebbe dire: – Noi non siamo capaci di fare niente. Quando ci muoviamo facciamo solo danni. Per fortuna il mare d’inverno sciacqua i bagnasciuga dove ogni segno che fa l’uomo all’onda successiva scompare. E per fortuna i turisti, pochi, per vedere quel bagnasciuga vengono facendosi piacere anche la frasciamazza sul bordo delle strade che un esercito di stagionali non riesce a scippare perché, forse, lo scippo ci pare reato. Figuriamoci se possiamo gestire un’emergenza planetaria. Uno starnuto della storia umana, noi piccoli e inadeguati perfino all’ordinarietà. Veniteci ad aiutare. Altrimenti prendo e mi faccio saltare con tutto il porto appresso così salvo il mio paese da questa invasione – .
Così doveva dire Ammatuna, ancaredda. Avrebbe dovuto invocare Crocetta. A proposito a Pozzallo qualcuno l’ha visto? E se Crocetta a Pozzallo non è mai andato, Renzi con Crocetta non si è mai fatto vedere. Renzi che oggi va a Bruxelles per inaugurare il semestre europeo. Illustrerà il disegno programmatico dell’Unione. Che non dovrebbe che essere uno solo. Stabilire collegialmente come gestire l’ondata di migrazioni dal Sud del Mondo. Diplomaticamente con i paesi da cui partono e collegialmente con i paesi in cui devono arrivare.
in Sicilia, pochi ci provano. Ciascuno con la sua storia di resistenza. Molti, specie, chi ci prova tornandoci, commettendo l’errore di guardare alla Sicilia come dall’oblò del postale con cui sono partiti, da Palermo o Catania, che nel fendere l’onda vede salire l’acqua e metà del vetro. La lacrima che riempie l’occhio di tutte le nostalgie. Bisogna fare proprio l’insegnamento di Piero Chiara. Che tornò in Sicilia, alle sue origini con uno sguardo freddo, quello dell’uomo del Nord. Con la faccia per terra.



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