Nasce il califfato e subito vuole prendersi Roma. Sappiamo bene perché: c’è il Papa; di più, come spiegava Baget Bozzo in un grande libro, “Il futuro del cattolicesimo”, c’è il Papato come istituzione reggente la Chiesa. La Cristianità nella sua forma oggettiva e universale. Un bersaglio fin troppo scontato.
L’Occidente – oggi più vasto, perché il tema si sta complicando non poco: è meno Occidente la Siria “governativa”, che si difende dai ribelli e dai jihadisti dell’ Isis, degli USA di Obama, che invece foraggiano i ribelli anti-Assad? – risponde alla solita maniera: abbassando la guardia. Ma la guardia era già bassa, dunque è sempre quell’asticella della risposta alla violenza islamica che striscia rasoterra. Ecco il punto.
La modernità occidentale, in mani ai nichilisti e ai fautori, più o meno confessi (Obama, nel 2009, al Cairo, lo fu palesemente), della dhimmitudine, è ancora una volta sotto schiaffo. Ma è un film già visto. L’Islam non è una spectre, come scrisse anni fa Ferrara, ma una civiltà robusta e pericolosa, tutta intrisa di odio per noi e dunque rigonfia di nemici giurati e assai difficilmente convertibili a quella “moderazione”, di cui i dhimmi parlano nei convegni.
Cos’è, infine, la dhimmitudine? Scegliamo wikipedia per rispondere. Citazione: “Dhimmitudine è un neologismo derivante dall’arabo dhimmi. Dhimmi (dialettalmente suona come zimmi; in in arabo: ذمي, traducibile come “protetto”) è lo status giuridico riconosciuto ai non-musulmani che vivono in un sistema politico governato dal diritto musulmano. La parola dhimmi è un aggettivo di norma usato come un sostantivo in Occidente. Esso deriva dal nome dhimma che significa “patto di affidabilità” e denota la relazione legale tra non-musulmani e Stato islamico. “Dhimmitudine” aggiunge il suffisso “-tudine” all’aggettivo dhimmi, creando un nuovo sostantivo con un significato diverso da dhimma. A seconda degli autori, il termine assume significati diversi ma tra loro correlati: può avere una valenza esclusivamente storica o contemporanea o comprendere le due; può riferirsi all’intero sistema del dhimma o alle sole persone”.
Il dhimmi è tale perché, nel sangue e nel cuore, si è piegato alla ferocia islamica e non riesce a riconoscere la sua debolezza, perché non ha più il gps per ritrovare le coordinate del suo percorso culturale, religioso e antropologico. Ha, in realtà, fatto tutto da solo, si è, in sostanza, suicidato. Ben prima dell’11 settembre 2001 e di tutto ciò che da questo tragico e cruciale evento simbolico è derivato.
Ormai si è dhimmi per vocazione e, insieme, per convenzione. E’ un patto non scritto, fra quei gentlemen che non ruttano a tavola e non parlano del Dio cristiano al pub, perché non fa fino. E’ il cedimento strutturale della barca occidentale, che va a Davos a riprendere il tono della madama la marchesa ma, in fondo, parla solo di aria fritta e tiramenti elitari. Solo il popolo si ribella alle invasioni dei nuovi militanti dell’Isis, oggi recuperati in mare da carabinieri e guardia costiera, da quei disperati che hanno nel corpo la doppia vocazione alla salvezza – e dunque allo sbarco in terra di infedeli – e allo sventramento a mezzo di bombe e kamikaze del Soglio di Pietro. Così stanno le cose e non ci vuole l’anaalista “cool” di turno per capirlo, basta l’osservazione affinata da 13 anni di storia alle nostre spalle, che poi sono lo sviluppo di quasi mezzo secolo di accerchiamento dell’Occidente da parte dell’Islam radical-fondamentalista, cioè jihadista.
Sono nemici, tutto qua. E trattarli da amici significa essere dhimmi. Tutto qua.
Che fare? Domanda fuorviante. La vera domanda è: come leggere questa realtà? Una dritta ce la dà Hassan Hassan, un analista dell’Abu Dhabi’s Delma Institute: “Lo Jihadismo si è evoluto in maniera significativa. Non è più limitato al ristretto gruppo di “elitari” che fanno i globetrotter verso altre nazioni distanti per dichiarare lo jihad. Oggi lo jihad è più sofisticato e personalizzato e può affermarsi ovunque”.
Un abito per tutti i gusti e le stagioni. E’ la guerra santa post-moderna. Che, con quel non so che di internazionalismo cosmopolita sa di happy hour di ricconi sauditi che pagano le vendette anti-occidentali e di ideologia di studenti iraniani di college inglesi alla ricerca di un centro di gravità permanente, possibilmente costruito sui cadaveri di chi fa loro pagare le tasse, senza conoscere la storia del cavallo di Troia. Tutto qua?
Sì, tutto qua. Troppa luce abbaglia, diceva Pascal. Troppa evidenza non viene riconosciuta.
E l’ultimo dei nostri ha già aperto la porta. E non si tratta delle frontiere, ma del dhimmi che vive dentro e lotta contro di noi.