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Cara Maria Elena Boschi ti scrivo…

Non capita tutti i giorni di poter ascoltare, di persona, la Ministra delle riforme istituzionali e tanto meno di poterlo fare in un periodo in cui, proprio sulle riforme, si gioca il destino del proprio Paese. Così, per caso, ho saputo dell’incontro in Versiliana con la Ministra e vi ho partecipato.

Una discussione interessante, peccato che a conclusione di questa il moderatore abbia dato la parola a sole tre persone, rigorosamente selezionate nelle prime file dei banchi “riservati” a persone ospitate, possiamo supporlo, proprio da chi organizza questo evento. Avrei (avremmo) gradito che, invece di rubare altri dieci minuti di dibattito facendo domande irrilevanti come “ha delle passioni?”, “farà delle vacanze?”, “che squadra tifa?” e via dicendo, il moderatore concedesse al pubblico la possibilità di interloquire e partecipare. Peccato, è stata un’altra occasione persa e un’altra conferma che certe manifestazioni sono un po’ troppo autoreferenziali.

La Ministra, molto brava e comunicativa, ha parlato di necessità e urgenza delle riforme, di tecnicismi e di strategie. Ha citato (che ironia) la Germania come modello delle riforme, dicendo che grazie a queste c’è stato sviluppo. Come sociologo e italiano che risiede proprio in Germania, oltre che come iscritto PD e dirigente di un gruppo locale, avrei voluto contribuire alla discussione chiarendo alcune cose sul contesto tedesco e chiedere alla Ministra delucidazioni su quanto da lei affermato.

La Germania, ora matrigna cattiva poi modello, non è l’Italia. Prima di tutto, le riforme a cui la Ministra si riferisce quali sarebbero? Quella del Governo Schroeder, che riguardava mercato del lavoro, della formazione e degli ammortizzatori sociali?  Oppure quella del 2006, che riguarda la riduzione di leggi approvabili dal Bundesrat, ossia il Senato dei Laender?

La riforma di Schroeder in Germania ha causato non pochi problemi al sistema sociale e lavorativo tedesco. Sono diminuite le garanzie di lavoro, con una crescita forte dei working poor, ossia dei lavoratori a reddito basso o bassissimo (con i Mini e Midi Jobs) e si sono prodotti meccanismi ambigui di accesso ai servizi sociali. La discussione, anche internamente all’SPD (partito di Schroeder) è molto aspra, a distanza di molti anni. Ma è un altro discorso. Se vogliamo prendere la Germania come modello, lo si faccia tenendo conto dei problemi che si sono poi verificati a seguito di quelle riforme, e soprattutto non scimmiottiamo nessuno, ma pensiamo ad un progetto ad hoc per il nostro contesto economico, produttivo e culturale. Ciò che funziona in un Paese A e va bene, non significa che funzionerà allo stesso modo in un Paese B. Non ci sono automatismi.

Torniamo alle riforme istituzionali: vorrei dire che il modello di Senato tedesco a cui Renzi e Boschi guardano è lontano anni luce da quello che vorrebbero proporre. Dice Boschi che con “consiglieri e sindaci” sarà dato spazio alle autonomie locali e ci tiene a precisare che contestualmente saranno tolte competenze alle regioni e date allo Stato. La mia prima domanda: ma non è una contraddizione, dire che volete creare un Senato delle autonomie (che autonomie non sono, dato che non siamo una Repubblica federale) e togliere competenze alle regioni?

Altro punto. Si dice che la “non eleggibilità” è irrinunciabile e che non c’è più nessuna scusa per tenere il bicameralismo perfetto. Seconda domanda: ma che connessione c’è tra le due cose? L’elettività del Senato non preclude l’abolizione del bicameralismo perfetto. Questa posizione è fumo negli occhi. L’elettività consente di mantenere un controllo diretto dei Cittadini sui propri rappresentanti, e non di creare conflitti di competenze tra consiglieri e sindaci (con immunità parlamentare) e altri che invece, con stesse funzioni, non possono godere di tali privilegi. E considerando la situazione terribile della corruzione dilagante, l’idea mi sembra molto infelice.

Durante la discussione il moderatore ha affermato che queste riforme si faranno se ci sarà un “Parlamento disciplinato”. Ecco, un punto critico, anzi cruciale della questione: il Parlamento non è una classe di scolaretti. La disciplina non è l’allineamento. Abbiamo una Carta Costituzionale che sancisce all’Art.67 la totale libertà dell’eletto, che non ha vincolo di mandato. Egli/Ella esercita il suo mandato nell’interesse della Nazione, né per suo personale tornaconto né in ottemperanza alle direttive di un Partito o del suo Segretario. Questa deriva, da molti definita autoritaria, è il pericolo che dobbiamo scongiurare, dobbiamo riflettere attentamente su ciò che potrebbe accadere, la nostra storia ce lo impone. Girarsi dall’altra parte è da irresponsabili. Già l’aver sostituito il Senatore Corradino Mineo dalla Commissione, per disciplina è stato un vulnus, e a Maria Elena Boschi vorrei  anche chiedere, se non è stato politicamente sciocco. In Commissione c’era la possibilità di elaborare una proposta da presentare all’Aula per la votazione, per una vera maggioranza qualificata. Schiacciato il confronto in tal modo, che tipo di ampia convergenza pensa di trovare? Renzi dice hai senatori: in Aula potete votare come volete. Certo, è la Costituzione a sancirlo. Ma il senso politico quale sarebbe stato? Ora, probabilmente,  19 senatori PD voteranno contro la proposta del Governo, e altrettanto potrebbero fare quelli di FI. Insomma, mi è sembrato davvero poco saggio e poco logico, una prova di forza inutile.

Alla Ministra vorrei infine chiedere se la riforma del Senato è davvero l’urgenza? Vorrei dire: no. L’urgenza è il lavoro. L’urgenza è recuperare i 300 miliardi di evasione che lo Stato non ha riavuto dal 2007 ad oggi, la lotta all’illegalità, che si riferisce a quei 130 miliardi annui di elusione ed evasione fiscale che riguarda il senso civico di questo Paese. Dove si trovano le risorse per le riforme davvero necessarie? Da un serio programma di lotta al lavoro nero, alle migrazioni di capitali all’estero e alle frodi perpetuate da chi può permettersi di manipolare ingenti capitali.

E sulla modifica della Costituzione si poteva evitare la fretta, e favorire una discussione più approfondita e meditata, considerando anche le conseguenze che queste modifiche potrebbero avere sull’assetto istituzionale. Sui concetti di democrazia e libertà.

Questo avrei voluto dire alla Ministra se lo avessero permesso.



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