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Europa, terra di nessuno. Urge riscoprire S.Bendetto

Venerdì prossimo, 11 luglio, ricorre la festa di S. Benedetto, patrono d’Europa. Chi ha dimestichezza con il calendario liturgico ricorderà che in origine la commemorazione del santo fondatore del monachesimo benedettino cadeva il 21 marzo. Fu Paolo VI a proclamare San Bendetto patrono d’Europa. Non è difficile scorgere la valenza simbolica – politica e culturale – di quella scelta. Un significato che fa tutt’uno con il dibattito, attuale oggi più che mai, sul futuro dell’Europa politica e, quindi, sulle sue radici culturali. Dunque: Europa e monachesimo. Nell’ottica di Paolo VI, peraltro ribadita da papa Ratzinger che non a caso scelse il nome di Benedetto, i due termini costituiscono un binomio indissolubile, quasi a  dire che non avrebbe potuto esserci l’una senza l’altro. Si può essere d’accordo o meno, ma che il monachesimo occidentale abbia costituito l’humus culturale dell’Europa è un dato difficilmente controvertibile. D’altra parte, ripercorrendo a ritroso la storia, si vede chiaramente che l’unico periodo in cui si ebbe unità politica e culturale fu il tanto vituperato Medioevo, epoca che ha coinciso con la nascita, il consolidamento, la massima espansione nonché il declino del monachesimo benedettino. Il contributo forse decisivo che il monachesimo ha dato alla formazione di una identità europea è stato l’aver reso popolare, cioè condiviso, ciò che prima era appannaggio di un gruppo ristretto di persone (i sacerdoti). Per non parlare dell’immenso lavoro di recupero e conservazione degli scritti dell’antichità classica, della nascita delle università, delle opere di bonifica di intere zone insalubri, dell’impulso dato all’arte, all’architettura e alla scienza. Insomma ciò che noi europei siamo oggi lo dobbiamo in buona parte a loro. Spiace constatare la miopia culturale, prima ancora che politica, di certe scelte. Da parte in primis della laicissima Francia, dove non solo nacque quel grande processo di riforma della chiesa che ebbe negli abati di Cluny i promotori, ma dove anche prese il via qualche decennio fa un vero proprio movimento per la salvaguardia e il restauro di quegli antichi luoghi di preghiera e di umile lavoro (a tal proposito andrebbe riletto il bellissimo libro della storica Regine Pernoud, non a caso intitolato Luce del Medioevo). Per ironia della storia, proprio dalla terra di Francia arrivò qualche anno fa la sonora bocciatura del progetto di Costituzione europea. Un segno, neanche tanto piccolo, che con la storia non si scherza; che non si può rinnegare il passato senza pagarne le conseguenze. Quasi una sorta di monito, di appello che sale dalle viscere profonde di un paese che per primo in Europa si convertì al cristianesimo, e che ora sembra aver apostatato la sua fede – esemplari in tal senso le iniziative educative del governo Hollande – in nome di una malintesa “laicità” che essendo figlia del relativismo assoluto, tutto appiattisce e niente riconosce come fondativo. E però qualcosa si muove. Magari la scelta dei francesi fu motivata da tutto fuorché dalla fede, d’accordo. Ma intanto un merito l’ha avuto, perché ha fatto emergere una contraddizione stridente e lacerante tra chi governa con piglio laicista e chi un’Europa senz’anima non la vuole. E prima si riscoprono le vere radici del continente e meglio sarà per tutti. Anche per evitare che da questa terra di nessuno che è attualmente l’Europa non sorga qualche nuovo mostro totalitario.



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