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Come Federmanager vuole ridisegnare un’Italia migliore

Una “fotografia” in movimento. È questa la sensazione che si ricava leggendo quanto emerso dalla ricerca voluta da Federmanager e realizzata dall’Istituto Episteme di Milano. Un’indagine introspettiva finalizzata a cogliere come i dirigenti italiani intendono il loro ruolo e la loro funzione sociale. Ma non c’è solo questo. Federmanager ha ideato e promosso questo studio più che mai consapevole dell’esigenza di far cogliere alla collettività i valori che connotano il ruolo manageriale, la valenza strategica del lavoro svolto da questa categoria, che negli ultimi tempi è stata fatta oggetto di giudizi sommari e demagogici, provenienti da una parte della politica e del mondo dell’informazione.

COSA VUOL DIRE MANAGER

Si sta, infatti, usando il termine manager facendo di tutta l’erba un fascio con la grave conseguenza che la gente finisce col non saper distinguere tra i veri manager (il cui percorso è il risultato di un processo meritocratico) alcuni ruoli paraimprenditoriali (titolari di livelli retributivi fuori misura) e amministratori di aziende a controllo pubblico, che troppo spesso continuano a rivestire incarichi prestigiosi grazie alla loro contiguità con la politica.

Per arginare questa deriva la Federazione sta portando avanti una battaglia prima di tutto culturale oltre che sindacale e politica, un’operazione verità che deve contribuire a restituire ai veri dirigenti quel credito e quella limpidezza di immagine che hanno guadagnato sul campo, operando in ottemperanza ai loro compiti per favorire la crescita delle imprese. I dirigenti che Federmanager rappresenta sono persone che dopo una vita di studio e di impegno hanno dato corpo e sostanza a quel ceto medio che è stato il “motore storico”, che ha permesso all’Italia di entrare nel novero delle grandi potenze industriali. Valori come il merito, la responsabilità, le competenze, l’attenzione al risultato sono nel DNA di ogni dirigente degno di questo nome, ma sono anche gli stessi valori che debbono tornare al centro del dibattito se vogliamo andare oltre una crisi che è prima di tutto morale e poi politica ed economica.

LO STUDIO DI FABRIS E VILLA

Lo studio che Monica Fabris ed Emma Villa hanno condotto per noi – e che grazie alla collaborazione di Pompeo Savarino, presidente AGDP, associazione classi dirigenti delle pubbliche amministrazioni, ha coinvolto un campione di dirigenti che operano nella PA – aiuterà la Federazione a centrare un primo importante obiettivo: dire basta alla retorica e alla disinformazione, sfatando dati alla mano ogni superficiale demagogia, che ha innescato un generale disorientamento nell’opinione pubblica.

Altro aspetto che in questa fase storica va ribadito e che la ricerca aiuta a mettere in luce è l’importanza che riveste la figura manageriale nelle organizzazioni aziendali. Nei contesti produttivi i manager preparati sono sempre portatori di qualità ed efficienza anche se ancora è troppo bassa la percezione del loro peso strategico. Basta considerare che su 160.000 aziende iscritte a Confindustria Confapi, Confservizi ecc., solo 17.000 hanno al loro interno una figura manageriale esterna alla famiglia.

E sono proprio queste realtà produttive, che realizzando un giusto mix tra ruolo manageriale e imprenditoriale hanno saputo reagire alla crisi, dimostrandosi moderne, competitive aperte all’innovazione. Per cambiare passo occorre dunque mettere in campo misure che possano favorire l’apertura delle PMI alla cultura manageriale: questa è la principale sfida che Federmanager vuole raccogliere e interpretare per il presente e per il futuro.

EVOLUZIONE DEL PROFILO DEL MANAGER

Gli esiti della ricerca mostrano con chiarezza il salto di paradigma in atto, facendo vedere l’evoluzione del profilo culturale e psicologico di un manager che oggi risulta meno attento alla carriera, ma anche meno legato al denaro. Se si analizzano con attenzione le risposte dei dirigenti emerge una dialettica dialettica tra la “persona” e il “ruolo”, che si riverbera nelle sembianze di una tensione etica e nella dimensione di una sensibilità sociale sempre più spiccata. Il dirigente che sappia farsi interprete delle esigenze della knowledge society dovrà in sintesi: superare ogni pregiudizio di “genere” (ormai fuori da tempo); dimostrare di avere i piedi ben saldati sui territori da cui proviene la ricchezza dell’esperienza e di tante importanti best practices; saper esercitare una “testa globale” che gli permetta di catturare tutti i segnali del cambiamento per tradurli in strategie per la crescita.

Risulta, infine, evidente dall’analisi del contesto storico e sociale e dalle risposte del campione interpellato che per rispondere alla complessità del sistema produttivo e all’accresciuta competizione sarà necessario lavorare su una figura di manager dotata di quelle capacità tecnico-culturali che gli consentano di dominare sempre più “vasti orizzonti. L’apocalisse economica che abbiamo vissuto in questi ultimi anni ha fatto apparire all’orizzonte l’uomo indebitato, un uomo che non “mangia futuro”. Ed è questa prospettiva che dobbiamo capovolgere in maniera definitiva, perché abbiamo bisogno di rinsaldare le motivazioni, di investire sulle competenze, di valorizzare le intelligenze per ritrovare la strada della ripresa.

È ORA DI RISCHIARE

Non si può stare alla finestra, è arrivato il momento in cui bisogna provare a cambiare le cose, a rischiare davvero. È scoccata “l’ora x” non solo per la politica, ma per tutti gli ambiti delle nostre classi dirigenti. Non c’è più spazio per la falsa retorica, siamo chiamati all’asciutezza concreta di chi non può mancare l’appuntamento con la storia, animati dalla convinzione che non si può più sbagliare. Dopo la coscienza della crisi crediamo sia venuto il tempo del fare. La società nelle sue varie articolazioni se ne sta accorgendo in ritardo, soprattutto tardi se ne è accorta la politica troppo presa da una ritualità che non trova più risposte nella contemporaneità. Per manager e imprenditori abituati ad essere misurati sulla produttività e sui risultati, potrebbe aprirsi un momento finalmente favorevole, non lasciamocelo scappare.

Siamo da sempre una categoria che fa dell’innovazione una regola di vita. Ci stiamo confrontando con la politica con l’obiettivo di suggerire delle soluzioni per riformare il mercato del lavoro, definire politiche industriali e di settore che mancano da troppi anni, realizzare una equa riforma fiscale, facilitare i processi di managerializzazione delle Pmi, promuovere la ricerca, l’innovazione e l’education. Federmanager continuerà a garantire il suo impegno e quello dei dirigenti che rappresenta suigrandi temi dello sviluppo economico e sociale che impattano sulla dimensione locale e nazionale. Il cambiamento di certo non ci spaventa.

Siamo in prima linea tra chi vuole, con forza, ridisegnare il profilo di un’Italia migliore.


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