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Giornalisti, più della metà non può più lavorare senza Twitter & co.

Giornalisti mai più senza social media. Perché oggi le notizie si trovano e si veicolano sempre più spesso tramite Facebook, Twitter & co. Lo dimostra un sondaggio internazionale condotto da Ing (Social Media Impact survey) tra giornalisti e professionisti delle pubbliche relazioni. Il messaggio che emerge è chiaro: i social media sono sempre più usati, pur nella consapevolezza che le informazioni che contengono non sempre sono affidabili.

Ma correre alla velocità di Internet è la priorità del giornalismo oggi e i reporter non solo consultano i social media per informarsi ma sono portati a pubblicare rapidamente una notizia, eventualmente correggendola in un secondo momento.

Ecco i risultati salienti del sondaggio: un terzo dei giornalisti dice che i post sui social media non sono una fonte affidabile di informazione eppure la metà rivela che i siti social sono la principale fonte di informazione. Questo avviene anche perché per metà dei giornalisti l’opinione dei consumatori conta più delle dichiarazioni ufficiali delle aziende: i social media hanno il “polso” della situazione, la “presa diretta”.

Intanto lo User-generated content (tweet, foto e video prodotti dagli utenti) è sempre più sfruttato dai giornalisti e nel futuro ci si aspetta che l’opinione della gente conterà sempre di più e sarà accettata come vera: il crowd-checking vincerà sul fact-checking. D’altro lato, già oggi solo il 20% dei giornalisti verifica i fatti prima di pubblicare: vale il motto “prima pubblico, poi eventualmente correggo”. Il 60% del campione si dice anche meno condizionato dalle norme del giornalismo quando si trova sui social media: qui il 67% dei giornalisti condivide le proprie opinioni personali più apertamente, talvolta a scapito dell’imparzialità.

Il sondaggio di Ing rileva che il 78% dei giornalisti usa i social media tutti i giorni. Le piattaforme più utilizzate sono Twitter (90%), Facebook (81%) e LinkedIn (64%). In definitiva, il 56% dei giornalisti si dice incapace di lavorare senza i social media: solo un quarto vi può rinunciare. Per il 68% è il giornalismo in sè che non può più fare a meno dei social media.

Il trend del resto non è nuovo: da qualche anno le redazioni dei grandi gruppi dei media, a cominciare da quella della Bbc, che ha uno User-generated content Hub a Londra, si sono dotate di strutture per la verifica dell’enorme quantità di informazioni che provengono dalla Rete.

Nel tempo, poi, si sono moltiplicati gli strumenti per aiutare i giornalisti nella verifica dei contenuti online. Il progetto Citizen Evidence Lab di Amnesty International, per esempio, è una guida per giornalisti e attivisti per i diritti umani per la verifica dell’autenticità e affidabilità dei video messi su YouTube, dove, tra i tanti contenuti generati dagli utenti, potrebbero annidarsi preziose notizie.

Un altro progetto, Bellingcat, annunciato ma ancora non attivo (lo sarà dopo l’estate), è ideato da Eliot Higgins aka Brown Moses, blogger inglese specializzato in open source intelligence. Il sito amplierà lo spettro delle attività del blog di Moses e si offrirà come punto di riferimento per la formazione nel giornalismo investigativo basato sulle fonti online, spesso originate dagli utenti. Moses le chiama indagini giornalistiche “open source”.

A sua volta lo European Journalism Centre ha dedicato al tema delle investigazioni delle fonti online per i giornalisti che coprono le situazioni di emergenza una guida chiamata Verification Handbook. In caso di disastri naturali o incidenti, infatti, i commenti, le foto e i video online dei cittadini si moltiplicano e il giornalista deve sapersi districare tra le informazioni trovando quelle utili e scartando quelle che non sono attendibili.



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