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I danni del taglia bollette

Renzi taglia il costo della bolletta del 10%. Rallegratevi ed esultate, perché è l’ennesima dimostrazione di incapacità di affrontare in modo serio i problemi del Paese. Già ho scritto qualche tempo fa di come il 10% si applicherebbe nei disegni governativi alle PMI e che su 425.000 imprese manifatturiere in Italia quelle energivore, ossia quelle su cui il beneficio di tale provvedimento supererà il 3 per mille (!!!), sono 3.000. Considerato che questo “beneficio” si otterrebbe in buona parte a spese di un settore strategico che è quello della generazione distribuita – ossia cogerazione e fonti rinnovabili – e non agendo sull’efficienza degli approvvigionamenti o del mercato dell’elettricità e del gas naturale, in realtà c’è poco da stare allegri.

Le misure a cui mi riferisco sono le seguenti, entrambe contenute nel D.L. 91/2014 in fase di conversione in legge. La prima è il cosiddetto “spalma incentivi” fotovoltaico. L’idea governativa è quella di allungare il periodo di incentivazione da 20 a 25 anni in modo da ridurre di qualche percento il costo della bolletta delle PMI. Peccato che questo comporterebbe per i produttori dei costi elevati per la necessità di ridiscutere i contratti di finanziamento con le banche, le autorizzazioni con gli enti locali e i diritti di superfice con i proprietari di edifici, capannoni e terreni (tutte azioni che non comporterebbero necessariamente il raggiungimento di un accordo fra le parti). A questo si aggiunga l’effetto sugli investitori esteri e nazionali che vedono applicare una misura retroattiva su un provvedimento di incentivazione. La soluzione alternativa proposta, quella dei bond, pur essendo migliorativa non porta reali benefici alle PMI e aumenta il costo cumulato degli oneri (come accade a chiunque decida di rinegoziare un mutuo allungandone la durata: paga rate più leggere, ma la quota interessi totale aumenta).

La seconda misura è più tecnica, e colpisce i cosiddetti sistemi di utenza, che sono poi i sistemi in cui un utente finale (organizzazione o famiglia) decide di installare un impianto di produzione di elettricità, sia esso gestito in autonomia o per il tramite di un soggetto terzo, quale una ESCO. Il D.L. 91/2014 in questo caso riduce l’esenzione da una parte degli oneri a cui questi sistemi sono sottoposti in virtù dei benefici che comportano (per lo meno i cosiddetti SEU) e va a penalizzare i sistemi che saranno realizzati in futuro, che essendo costruiti in un’era senza incentivi meriterebbero semmai un supporto maggiore. In sintesi si penalizza la generazione distribuita per offrire mediaticamente la solita proposta slogan.

Il problema è ben più profondo di quanto si possa pensare, in quanto è il modo di operare che è sbagliato e che nessuno cerca di migliorare. Prendete una qualunque organizzazione leader di settore a livello mondiale o anche nazionale. Ha sempre una caratteristica fondante: una visione chiara del suo business. In Italia, invece, la maggior parte delle organizzazioni, pubbliche o private, non ce l’ha, in quanto abituate a vivere di sussidi o di dinamiche da comuni rinascimentali, calate però in un’era di decadenza. Questo si traduce, sul piano legislativo, in una serie di proposte scollegate e non organiche, che su temi complessi e integrati come quello energetico può solo produrre danni.

Non a caso dall’avvento della liberalizzazione dei mercati elettrico e del gas si è assistito a una lunga serie di errori, non solo da parte del legislatore (e.g. energia materia concorrente fra Stato e Regioni, incapacità di razionalizzare le infrastrutture di approvvigionamento del gas, secondarietà dell’efficienza energetica nelle scelte con le relative conseguenze in termini economici, tentativi di rilancio del nucleare scollegati dalla realtà e bloccati solo dal triste evento di Fukushima, incentivi alle fonti rinnovabili gestiti in modo errato e seguiti da recenti politiche di contrasto alle stesse), ma anche degli operatori di mercato (e.g. il settore termoelettrico, Sorgenia docet, ha realizzato una capacità produttiva che sarebbe risultata esagerata anche in assenza della crisi economica). Errori che avrebbero dovuto instillare un minimo di cautela al nuovo Governo, che invece antepone il concetto di fare al buon senso, quasi fosse l’orsetto Duracell di televisiva memoria.

L’energia costa tanto in Italia? Certo, è normale avendo importazioni regolarmente superiori all’80% ed essendo un bene essenziale, ma scarso. Costa di più per tutti? No, anzi, i grandi energivori sono sottoposti a condizioni paragonabili all’estero. Chi paga di più sono le PMI, ma questo è normale in quanto su di esse il costo dell’energia incide sul fatturato meno che per altre categorie di consumatori, come le famiglie (che in buona parte sarebbero definite aziende energivore, avendo in genere costi energetici ben superiori al 3% delle spese). Sarebbe facile spostare gli oneri di sistema nella fiscalità generale con un articolo di legge, ma i danni sarebbero ben superiori ai benefici (basti pensare all’incertezza che seguirebbe sulla disponibilità effettiva dei fondi anno per anno). Proprio perché l’energia da noi è un bene prezioso, è giusto lanciare dei segnali di prezzo in bolletta.

D’accordo, ma qualcuno dirà che in tempi di crisi tutto fa brodo, e quindi perché rinunciare anche solo a un uno per mille di risparmio in bolletta? Giusto. L’importante è che questo derivi da una revisione delle regole del mercato dell’energia volte a eliminare sprechi e rendite di posizione, a pagare meno l’energia importata e a sostituire fonti estere con fonti nazionali. Questo richiede una sforzo maggiore, ma porta a una reale diminuzione dei costi dell’energia, e non a un trasferimento di fondi da una categoria a un’altra o a danni di un settore strategico come la generazione distribuita (che sia tale lo dicono la Strategia energetica nazionale e tutti gli studi realizzati da agenzie e università autorevoli a livello internazionale e nazionale). I problemi si risolvono con misure strutturali, non con palliativi e proposte demagogiche. Se vogliamo aiutare le imprese veramente, allora agiamo sul costo del lavoro, sulla burocrazia e sui tempi della giustizia civile.

Visto che si può rimediare all’errore in fase di recepimento della legge, confido che il Governo, di cui non metto in dubbio la buona fede, possa ripensarci e decidere di affrontare il tema della riorganizzazione del mercato elettrico in un provvedimento organico e dedicato.

I Paesi che hanno giocato un ruolo nella storia l’hanno fatto perché hanno saputo sfruttare le risorse disponibili (e spesso l’hanno perso quando si sono trovati senza risorse rispetto ai concorrenti). Quali sono le risorse energetiche disponibili nel nostro Paese in grandi quantità? Efficienza negli usi finali, sole, acqua, biomasse.  Lascio ai lettori le considerazioni del caso su ciò che meriterebbe la priorità delle scelte.


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