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Il Teatro Regio di Torino alla conquista di Pechino

La notizia è questa. Il teatro Regio di Torino ha appena sottoscritto un accordo con l’opera di Pechino, che intende aprirsi al Mondo, quello Occidentale, abbeverandosi della sua cultura e della sua opera lirica. Questo vuole dire l’edificio di Paul Andreu con cui hanno rammendato la periferia a Pechino. Una grande conchiglia di venti mila metri quadri, tutta titanio e cristallo.
L’accordo prevede, già a partire dal 2015, un’importante coproduzione, Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns. All’atto pratico, oltre al valore storico e di prestigio, denaro che entra nelle casse del Teatro dell’Opera del capoluogo torinese in cambio di conoscenza. Quel “saper fare” necessario per mettere su uno spettacolo. E la tradizione, anche. Che certamente è una cosa tutta italiana per via della nostra storia di Signori e Signorie. Di Montecchi e Capuleti, di Guelfi e Ghibellini. Di corti, cortigiani, incesti e adulteri. Di metamorfosi, di Dei capricciosi, che quando sono vergini ti fanno accoppare da cervo se li hai visti nudi. Tutte cose che alla Cina proprio non appartengono.
Vergnano, il sovrintendente del Regio, ai microfoni del TG3 proprio non riusciva nascondere il suo entusiasmo. -Dobbiamo fare bene perché, se ci hanno scelti, vuol dire che siamo bravi-. Ecco, così ha detto. Deve essere stato l’entusiasmo, ma la logica suona capovolta. Non si è scelti perché si è bravi, ma si è bravi se si è scelti. Come dire che uno non rimane nella stessa azienda, pubblica o privata, tanti anni perché è bravo, ma è bravo se ci è rimasto tanto tempo. In molte istituzioni, in molti enti, in Italia, puoi trovare dei funzionari, che sono più mandarini dei loro omologhi che parlano, appunto, il mandarino, che sono nello stesso posto da sempre. Sono lì per meriti ? Perché questo paese non gli ha offerto alternative? O, perché non le hanno mai cercate? O, ancora, perché non gliele hanno mai offerte?
Il Teatro Regio di Torino è pervicacemente votato all’innovazione. Solo un paio di anni fa, per fare un esempio, si inventò un concorso per l’allestimento del Rigoletto da mettere in scena nella stagione successiva. L’iniziativa ebbe un grandissimo successo. Arrivarono progetti da tutto il mondo.
Ora, il Regio di Torino ha battuto tutti sul tempo, tutti gli altri teatri d’Opera d’Occidente. E andrà a insegnar l’Opera in Cina. Speriamo che la grande conchiglia, rimanga a fare quello che fa una comune conchiglia: solo eco. Che non riesca ad avere, mai, il controllo completo della propria voce, come volle Giunone. Non potendo, mai, far innamorare.

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