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Irak, come si è arrivati alla crisi?

Uno dei massimi esperti di storia e politica irachena ha presentato ieri a Roma le sue conclusioni sullo stato delle cose nel Paese mesopotamico, travagliato da un conflitto che per alcuni versi assomiglia a una insorgenza sunnita.

LA REALTA’ SUL TERRENO
Ibrahim Al-Marashi, professore di storia mediorientale alla California State University San Marcos, giunto ieri a Roma per un evento dell’Ispi ospitato dal Centro Studi Americani, ha però sottolineato che la “tripartizione etno-settaria” è parte di una semplificazione mediatica occidentale che è già diventata “narrativa politica”. Al punto che il generale Petraeus, influenzato dall’immagine di un governo centrale integralmente “sciita”, ha affermato che gli Stati Uniti non saranno il braccio aereo delle milizie sciite nel confronto.

UNA MINACCIA CHE VIENE DA LONTANO
Da tempo, sottolinea Al-Marashi, l’evoluzione della presenza di ISIS in Iraq era monitorata. Il successo militare del governo di Damasco lungo l’asse urbano Nord-Sud della Siria, ottenuto nel 2013, ha spinto i ribelli radicali lungo l’asse Ovest-Est, sconfinando in Iraq. Il traffico di armi, risorse e combattenti si è spostato verso oriente, lungo le rotte desertiche lasciate aperte dall’esercito regolare siriano impegnato nelle città occidentali e comunque desideroso di lasciare una via di fuga alle forze della sovversione. Si crea una situazione, dice Al-Marashi, simile a quella del cosiddetto Af-Pak. L’area Irak-Siria ormai assomiglia sempre di più a quella regione senza legge formalmente sotto il controllo del governo di Islamabad ma in realtà in mano a gruppi tribali che contrattano direttamente con i Pashtun che controllano la frontiera. Insomma, Baghdad “paga” per il successo di Damasco, ma anche per questa tattica abbastanza intenzionale dell’esercito siriano di lasciare la porta aperta a Est ai ribelli sconfitti.

LE STRANE ALLEANZE
All’incontro, cui erano presenti anche Maurizio Melani, ex ambasciatore italiano in Irak, e Alberto Negri, inviato di esteri del Sole 24 Ore, è emerso anche il tema delle “strane alleanze”. Alleanze di fatto e di interesse, tra gruppi baathisti, che lavorano alle radici della società irakena sin dai tempi di Saddam, e le milizie islamiste di ISIS. Unite nella lotta regionale per ridurre l’influenza iraniana, percepita come preponderante. E una strana alleanza anche a livello internazionale si profila tra Washington e Teheran. Per Al-Marashi un’alleanza di fatto Usa-Iran, maturata nell’ambito dei negoziati sul nucleare iraniano, potrebbe essere una chiave per la stabilità dell’area. Anche l’ambasciatore Melani ha parlato di “competizione convergente” tra Teheran e Washington che da anni cercano di influenzare la giovane democrazia irakena.

UNA SOLUZIONE POLITICA
Per il rappresentante della diplomazia italiana tuttavia non basterà l’accordo Usa-Iran, ma ci vorrà (e le condizioni ci sono tutte) un accordo che includa anche Russia, Ue e Turchia (e che non escluda nemmeno l’Arabia Saudita). In pratica, tutte le potenze internazionali, grandi e medie, che hanno un interesse nell’area a contenere la minaccia rappresentata dall’ISIS. Ma è sul piano interno che questa grande alleanza dovrà trovare riscontri diretti, in particolare nella formazione di un governo inclusivo che recuperi le fazioni estraniate, prevalentemente sunnite ma anche sciite. Da questo punto di vista, la situazione sul campo spinge Al-Maliki ad attenuare l’intransigenza e a scegliere una linea più accomodante verso le richieste sunnite.

LO STALLO MILITARE
Questa soluzione politica è l’unica via di uscita. Al-Marashi ha sottolineato come le possibilità di vittoria militare dell’esercito irakeno siano ridotte al lumicino. Questo non perché l’ISIS rappresenti una formidabile minaccia (non più di un migliaio dei suoi componenti sono combattenti esperti o veterani), ma perché l’espansione dell’ISIS nel centro del Paese si è appoggiata al radicato scontento di alcune medie e piccole città che da tempo sono mobilitate contro il regime di Al-Maliki. E, militarmente parlando, l’esercito irakeno non è sufficientemente addestrato per la battaglia e la controguerriglia urbana.
Il Califfato, ha concluso Al-Marashi, è più sulla carta che sul terreno, ma la debolezza e divisione delle forze regolari di Baghdad fanno temere il peggio.

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