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Lavorare in povertà

 L’Italia è un Paese di lavoratori sulla soglia della povertà? No, o forse si! La risposta a questa ennesima contraddizione si trova in un Rapporto del CNEL dedicato ai cosiddetti working poors, cioè coloro che pur avendo una occupazione percepiscono bassi salari che li collocano vicino alla soglia di povertà. 

Infatti, in una delle tavole del Rapporto, quella dedicata ai livelli retributivi e all’occupazione a basso salario in Europa, si dice che la quota di lavoratori a basso salario in Italia è del 12,4% contro una media UE27 pari al 17%. In Gran Bretagna e Germania si arriva addirittura ad un gap del 10% con un dato che si attesta intorno al 22%.

Allora cos’è che non va nel Bel Paese? Perché continuiamo ad essere “osservati speciali” da parte dell’Unione europea?

Provo a spiegarlo (con qualche necessaria concessione alla semplificazione giornalistica). I dati Eurostat sul salario orario mediano lordo pagato nei Paesi dell’Unione dicono che esso si attesta a 11,9 euro e che sale a 13,2 euro nei Paesi aderenti all’area euro, mentre in Italia risulta inferiore di circa il 10%. Cioè, negli altri Paesi ci sono più working poors, ma con livelli di salario ben più elevati rispetto a quelli italiani. Ancora meglio, tanto maggiore è il salario mediano, tanto più elevata è la quota di working poors. 

Insomma, quello che sembrava un dato positivo sembra alla fine non esserlo. Per lo meno non lo è in termini “reali”. E si aggiunge, purtroppo, alle indicazioni emerse qualche giorno fa, in occasione della presentazione del Rapporto Bes 2014.

In quella sede si era appreso che il potere di acquisto per abitante è andato riducendosi, tra il 2007 e il 2013 di ben 12,7 punti percentuali, così come è andata contraendosi la spesa per consumi ( – 6% tra il 2011 e il 2013) e che soprattutto dal 2007 ad oggi ci siamo ritrovati con 2 milioni e 400 mila poveri assoluti in più e che 9 milioni di persone sono coinvolte in fenomeni di grave deprivazione.  

Da oggi però l’Italia ha una possibilità in più: la Presidenza di turno del semestre europeo, in un contesto di rinnovamento delle istituzioni europee. Non ci si possono certo aspettare dei miracoli, ma qualche penitenza in meno forse possiamo provare ad averla. 

Come? La risposta è in una “lectio magistralis” del 2010 dal Governatore della Banca d’Italia di allora, Mario Draghi: ““negli anni più recenti l’insicurezza nei rapporti di lavoro, il  ridimensionamento del sistema di protezione sociale pubblico, l’invecchiamento della popolazione hanno reso i flussi di reddito, percepiti e attesi, meno regolari. La ricchezza chiosava il banchiere centrale – ha via via assunto un ruolo sempre più importante di cuscinetto di sicurezza. Il risparmio accumulato è essenziale nell’attutire gli effetti delle incertezze della vita, nel far sentire le persone meno vulnerabili. Ricordava ancora l’attuale Presidente della BCE che –  Il capitale materiale e immateriale di cui i giovani dispongono all’inizio della vita adulta, grazie ai trasferimenti che ricevono dalla famiglia, condiziona le loro scelte e i loro destini. Per questo – ammoniva ancora Draghi – è necessario analizzare l’evoluzione della ricchezza con la stessa attenzione che dedichiamo a quella del reddito”.  

Allora, se posso osare un suggerimento alla cara e vecchia Europa, forse, dopo Mister PESC, è il caso di pensare ad un Mister WELLBEING .

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