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Lavoro e maternità, cosa succede al Consiglio Europeo

Molte le difficoltà che hanno portato al blocco della proposta di riforma della legislazione vigente in materia di salute e sicurezza (direttiva 92/85), in discussione da quattro anni presso il Consiglio europeo. Nell’’ottobre 2008, la Commissione europea propose di rivedere l’attuale legislazione europea parte di un programma più generale finalizzato a promuovere un maggiore equilibrio tra vita e lavoro e all’interno delle strategie del Trattato CE sulla promozione della parità di trattamento tra lavoratori e lavoratrici. Nell’ottobre 2010, il Parlamento europeo terminò la sua prima lettura presentando, tramite risoluzione, approvata con 390 voti a favore, 192 contrari e 59 astensioni, la nuova normativa in seno al Consiglio. La proposta iniziale della Commissione prevedeva di estendere il congedo di maternità retribuito da 14 a 18 settimane di cui almeno 6 con retribuzione al 100%, il Parlamento lo superò proponendo di estendere il congedo di maternità da 14 a 20 settimane retribuite tutte al 100% introducendo anche un congedo di paternità obbligatorio di due settimane sempre nella stessa misura. Alcuni parlamentari aggiunsero alcune clausole per vietare il licenziamento delle lavoratrici gestanti dall’inizio della gravidanza fino ad almeno 6 mesi dopo il parto e per proteggere la salute e la sicurezza sul lavoro delle stesse.

Comunque sin da allora si misurò il dissenso di quelle posizioni tra due schieramenti: chi era per novellare e migliorare la norma (prendendo anche come esempio la normativa italiana che supera di gran lunga alcune legislazioni in materia di maternità, altri che interpretavano (non senza qualche ragione) il timore da parte dei rappresentanti dei datori di lavoro delle possibili conseguenze di una normativa eccessivamente rigida in termini di maggiore carico giuridico e finanziario per le imprese, tenendo anche conto della situazione di difficile congiuntura economica come quella attuale che non solo accenna a diminuire ma si sta aggravando. Vero è che riguardo ai congedi di paternità, alcune nostre rappresentanze datoriali e governative, sin dall’inizio, espressero perplessità verso una misura ritenuta non rispondente correttamente alle esigenze di equilibrio tra interessi delle aziende e interessi dei genitori lavoratori e lavoratrici ponendo l’introduzione di un provvedimento che contemplasse la libertà dei singoli paesi, nell’ambito delle loro normative e prassi, di trovare forme adeguate di tutela della genitorialità, anche attraverso lo strumento della contrattazione collettiva, come peraltro già è operativa in Italia e che ha consentito attraverso gli accordi sindacali di migliorare non solo la retribuzione nel periodo di maternità portandola al 100% ma anche inserendo un welfare aziendale che favorisse sia la flessibilità che la conciliazione famiglia/lavoro.

Vero è che il ritiro del provvedimento da parte della Commissione determina sicuramente una battuta di arresto verso la realizzazione e la coerenza delle linee dettate dal medesimo Parlamento nel raggiungimento degli obiettivi di Europa 2015/2020 sulla tutela dei diritti delle donne in maternità e sulla promozione della condivisione genitoriale, propedeutici e complementari a creare maggiore occupabilità femminile. Dunque responsabilmente avanziamo una proposta: finanziare ulteriori periodi di assenza per congedo parentale a livello europeo tramite l’accesso ai fondi sociali europei per creare e avviare una rete di fondi bilaterali territoriali, di comparto, di settore che vengono usati per il sostegno al reddito dei lavoratori e lavoratrici che si assentano per reali periodi di cura ai famigliari. Il fondo una volta avviato si autoalimenta attraverso risorse in parte dell’azienda in parte del dipendente e in parte con i risparmi che dalla spesa pubblica vengono tratti per minore accesso ai permessi e periodi di assenza previsti dalla struttura di welfare. E’ una proposta ragionevole che fa i conti con l’attuale sistema economico in sofferenza e con la possibilità di sostenere la famiglia e il reddito del lavoratore e lavoratrice e offrire al fronte Europeo una soluzione coerente rispetto alla Direttiva che così come è formulata è destinata a morire.



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