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L’Italia commerciale di maggio (prima degli 80 euro)

Maggio è il mese delle rose, ricorda la saggezza popolare, a simboleggiare la fioritura della primavera, con tutto il suo portato di simboli e significati che non sto qui a ricordare, occupandosi questo blog di cose noiose come la socioeconomia.

Tuttavia, poiché m’ispiro a tale saggezza, mi è venuto l’uzzolo di celebrare il maggio italiano prendendo a pretesto l’ultima nota dell’Istat sul commercio estero, che ci racconta dei nostri scambi col resto del mondo e quindi dei nostri gusti e delle nostre necessità, essendo infine il commercio ciò che più ci caratterizza in quanto entità economiche.

E poi c’è un altro motivo per il quale vale la pena occuparsi dei nostri commerci con l’estero. La vulgata del mainstream assegna proprio a tale commercio un ruolo trainante per la ripresa economica dei paesi in crisi, i quali, e basta il caso della Spagna a ricordarlo, hanno fra le altre cose il problema di dover ripagare i loro debiti esteri. E in tal senso il commercio, e in particolare l’export netto, è l’unica fonte di guadagno per un’economia che esponga saldi debitori esteri rilevanti.

E anche se l’Italia sta messa assai meglio della Spagna, ciò non vuol dire affatto che non abbia problemi con l’estero. Tutti i nostri augusti commentatori della grande stampa, i nostri imprenditori da tv e gli economisti da festival insistono sull’export netto, indicandolo come viatico ideale per il risanameto della nostra contabilità. Oltre alle solite riforme strutturali, ovviamente.

L’Italia commerciale di maggio, perciò, è un appuntamento obbligato da osservare, e quella di giugno (per il momento è stata diffusa solo la stima sul commercio extra Ue che non sono buoni) lo sarà ancor di più, visto che potremo avere un’idea di come e in che misura i famosi 80 euro elargiti dal governo con la busta paga di maggio, che poi pesano circa 10 miliardi di volume aggregato su base annua, hanno inciso sui nostri flussi commerciali. Dall stima di giugno sul commercio estero extra Ue possiamo già trarre un’indicazione: l’export è in calo del 4,3% rispetto a maggio, mentre l’import cresce, sempre rispetto a maggio, dell’1,9%.

Questione centralissima, a ben vedere. L’export netto, infatti, è stata la voce che tenuto in piedi il nostro conto corrente della bilancia dei pagamenti, consentendoci persino un piccolo surplus, pagato però a caro prezzo con il crollo del consumo interno, pubblico e privato. La solita austerità che fa bene all’esterno e deprime l’interno.

Ebbene, la prima cosa che salta all’occhio, scorrendo la nota Istat è un grafico sull’andamento dei flussi commerciali import/export fra maggio 2013 e maggio 2014, laddove si osserva che per la prima volta, a maggio 2014, la curva dell’import, che misura gli andamenti percentuali tendenziali, che sono in costante crescita, incrocia quella dell’export, che invece è in costante calo.

In sostanza vuol dire che che l’import italiano è cresciuto nel corso dell’anno, recuperando interamente il deficit registrato nel corso del 2013. Tale circorcostanza si rileva nel dato congiunturale di maggio, ossia rispetto al mese precedente, quando l’export è cresciuto del 2,2% a fronte di un aumento dell’import del 3,2%.

Se guardiamo al dato (grezzo) tendenziale, ossia rispetto a maggio 2013, si osserva che siamo in presenza di qualcosa che somiglia a un trend, visto che l’export globale è cresciuto dello 0,2%, mentre l’import dello 0,9%. Potremmo dedurne che la nostra domanda interna si stia rimettendo in piedi. E ciò non può che avere effetti sul nostro commercio con l’estero (lato import), atteso che non nessun paese è un’isola.

In valori assoluti ciò si riflette sul nostro saldo commerciale che infatti, pur se positivo (3,7 miliardi), a maggio 2014 risulta in calo rispetto a maggio 2013 (+3,9 miliardi). Senza la spesa per i prodotti energetici (4 miliardi), il saldo sarebbe stato positivo per 7,9 miliardi.

La seconda cosa che è utile è osservare è la direzione dei nostri flussi commerciali. Se ci limitiamo al dato tendenziale notiamo che a maggio 2014 c’è stato un incremento dell’export verso la Ue del 2,4% compensato però da un calo delle vendite verso l’area extra Ue del 2,3%. Al contrario le importazioni sono aumentate sia dai paesi dell’Ue (+1%), sia da quelli extra Ue (+0,8). L’andamento del cambio probabilmente ha il suo peso, visto che anche nel 2013 l’euro è stato forte rispetto al dollaro.

Se guardiamo il dato tendenziale, riferito stavolta a maggio 2012, notiamo che le curve, sia dell’import che dell’export, nei confronti dei paesi Ue camminano sostanzialmente parallele, anche se divergono leggermente. Nel senso che la distanza fra le due curva è minore a maggio 2012 di quanto non sia a maggio 2014. Ciò implica che sia aumentato il saldo commerciale positivo netto all’interno dell’Europa.

Se guardiamo i grafici dei paesi extra Ue, la divergenza è ancora più eclatante. A maggio 2012 le curve di import e export partivano dallo stesso punto. Poi l’import collassa, probabilmente a causa della minore domanda di beni energetici o del loro diminuito costo e questo aumenta significamente il divario con l’export, che tuttavia ha un andamento sostanzialmente piatto e che i dati di giugno confermano in calo. I dati congiuturali mostrano una ripresa delle curva dell’import che corre parallea a quella del’export verso questi paesi. Quindi il saldo è rimasto più o meno costante.

Il succo di questa disamina è che l’andamento del saldo globale è stato molto più influenzato dagli scambi fra i paesi extra Ue di quanto non sia stato con quelli Ue. La qualcosa, con la grossa ipoteca rappresentata dalla bolletta energetica che paghiamo a paesi extra Ue, costituisce un rilevante elemento di fragilità.

A maggio 2014, tuttavia, l’Italia stava ancora serena. La primavera, d’altronde, non richiede di essere riscaldata col gas russo.

Un altro grafico ci racconta che, sempre riferendosi al dato tendenziale stavolta rispetto a maggio 2013, a maggio 2014 l’export è cresciuto del 16,9% nei confronti del Belgio, ma siamo andati forte anche verso i cosiddetti paesi EDA, acronimo che sta per economie dinamiche asiatiche (Singapore, Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Malesia e Thailandia), verso i quali l’export è migliorato del 12,8%. Seguono Cina (+8,9%), Stati Uniti (+7,7%) e Germania (+5,5%). Al contrario l’export è diminuito nei confronti dei paesi Opec (-8,6%), dei paesi del Mercosur (-10%), della Russia (-13,9%), della Turchia (-14,1%) e del Giappone (-17,2%). Vi faccio notare che le peggiori performance dell’export le abbiamo registrate in paesi che hanno subito, alcune per scelta (Giappone) altre per necessità una forta svalutazione nei confronti dell’euro.

Se andiamo a vedere lo stesso grafico, ma lato importazioni, scopriamo che sono aumentate quelle dalla Repubblica Ceca (+9,6%) dalla Polonia (+8,2), dalla Turchia (+5,8), dalla Spagna (+5,5%) e dalla Romania (+5,2). Al contrario, si segnala il calo di importazioni dalla Russia del 5,6% e dai paesi Opec del 13,8%, che devono aver fatto un gran bene alla nostra bolletta energetica, ma che certo sono preoccupanti se uno pensa che tale ciclo positivo, provocato da un combinto disposto fra calo dei prezzi e delle quantità richieste, dovesse un giorni invertirsi.

In sistensi, la bilancia commerciale è attiva nei confronti degli Stati Uniti, della Francia, del Regno Unito, dei paesi Eda e della Svizzera, mentre è passiva verso la Cina, la Russia, i Paesi Bassi, la Germania e il Belgio.

Il terzo elemento che ci racconta di questo maggio italiano è cosa compriamo noi dall’estero e cosa comprano da noi.

La merceologia rivela la fisionomia di una società, d’altronde. Vale per la socieconomia l’insegnamento della fisiognomica, dove il tratto rileva il carattere.

Se guardiamo a dati grezzi aggregati per fisionomia merceologica notiamo che fra maggio 2013 e 2014 abbiamo avuto un incremento di esportazioni di beni durevoli del 4,5% e di importazioni di tali beni del 7,6%. Più contenuta quella dei beni non durevoli, le cui esportazioni sono aumentate dell’1,4 e le importazioni dell’1,1%. Rimarchevole il calo di export della voce energia sia lato export (-19%) che import (-16,7%).

Se analizziamo cosa tutto ciò significhi, osserviamo che abbiamo venduto più articoli farmaceutici, chimici e medicinali verso il Belgio, di macchinari verso i paesi Eda e Stati Uniti, di metalli di base e prodotti di metalli (escluse le macchine) verso la Germania e di autoveicoli verso gli Usa. E’ diminuita invece la vendita di metalli verso la Svizzera e di prodotti petroliferi raffinati verso Turchia e Spagna. Lato import, sono aumentati gli acquisti di autoveicoli da Germania (+0,49%) e Spagna (+0,24) e di prodotti petroliferi raffinati dagli Stati Uniti, che complessivamente pesano un punto percentuale in più di import. Si segnala anche l’aumento importazioni di prodotti alimentari, bevande e tabacco dalla Spagna e di prodotti farmaceutici e chimico medicinali dalla Francia.

Insomma, il maggio italiano, col suo incremento di importazioni di beni durevoli, e in particolare di auto tedesche, segna davvero una primavera del nostro consumo nazionale, che esibisce anche una qualche punta di buonumore, atteso che acquistare beni durevoli è di per sé una dimostrazione di ottimismo. E fa sorridere come i dati confermino la nostra affezione nazionale per le Mercedes, che magari peraltro alimentiamo con profitti importati dagli Usa. Evidentemente l’automobile è un termometro della nostra felicità.

Incoraggiare tale ottimismo con la benzina degli 80 euro è sicuramente un atto di coraggio, stante lo stato di salute del nostro corrente e l’andamento già crescente del nostro import nazionale. Forse sarebbe stato più saggio, dovendo rilanciare le esportazioni, tagliare il cuneo fiscale delle imprese, con quei soldi.

A volte il coraggio rima con l’incoscienza.

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