Non dobbiamo meravigliarci delle dichiarazioni pubbliche che il grande stratega Brzezinski ha rilasciato sull’Italia e il suo ruolo nell’attuale scacchiere internazionale. Certo, ci saremmo aspettati che le voci dei nostri esperti di geopolitica sui vari quotidiani nazionali avessero manifestato le loro opinioni sulla mancata visione geopolitica attuale, sulle perplessità che fonti autorevoli pubblicamente – e non osiamo immaginare segretamente – stanno dimostrando alle nostre autorità di politica estera e militare.
Qui il grande gioco di politica estera andreottiano ci torna utile quanto mai. Nei suoi due saggi sulle relazioni con gli Usa e l’allora Urss, il presidente Andreotti rimarcava gli equilibri convergenti che bilanciavano l’Italia sulle due sponde strategiche e ne facevano l’interlocutore privilegiato sul Mediterraneo e nelle sinergie economiche necessarie allo sviluppo industriale italiano, con enormi vantaggi competitivi sulla manodopera. Se la visione andreottiana veniva rilegata alla categoria della “navigazione a vista” dagli esperti internazionali, il tempo alla lunga gli ha dato ragione. Per poter partecipare alla complessità che la globalizzazione e gli spazi geoeconomici nuovi impongono agli stati bisogna corrispondere con una interdipendenza relazionale e commerciale di gran lunga superiore alla capacità sistemica che, per esempio Germania e Francia, ritengono di avere.
La visione degli equilibri convergenti potrà essere interpretata bene dai nostri diplomatici e dai nostri ranghi militari sui tavoli negoziali multilaterali. Nessuno potrà mai imporre una scelta all’Italia su tematiche strategiche, perché l’Italia è sempre stata strategicamente l’unica a saper conciliare realpolitik e cooperazione internazionale senza rimarcare il ruolo specifico di peso nelle cancellerie o nelle stanze dei bottoni anglosassoni.
La guerra semi fredda in atto non è espressione solo della risposta americana alle capacità pervasive della Russia nel Medio Oriente e nell’America Centrale, alla sua virata strategica con la Cina sul versante geopolitico energetico e finanziario, quanto all’insofferenza della Germania e di altri partner europei al piano di rinascimento transatlantico esposto durante la Conferenza di Monaco dagli Usa. Il Ttip è la questione strategica che obbliga gli Usa a negoziare sugli standard commerciali e industriali con la Ue, indebolendo la sua posizione nei confronti delle grandi corporation e delle industrie che non potrebbero mai e poi mai cedere sulle normative standard europee nel mercato interno Usa, il loro vero vantaggio competitivo. Gli elementi di negoziazione sono quelli fondamentali della sicurezza alimentare, all’uso degli ogm e dei derivati chimici alimentari e farmaceutici vietati nella Ue.
Non che la tematica inerente la condivisione dei database finanziari e dei flussi commerciali digitali sia da meno, ma gli equilibri divergenti sostanzialmente hanno poco di geopolitico e molto di economico, soprattutto in termini di sopravvivenza di medio lungo termine finanziario e strutturale.
Ovviamente il quadro geopolitico economico europeo è maggiormente integrato in Eurasia ed in Medio Oriente rispetto al singolo mercato americano, con prospettive di crescita maggiori in Messico rispetto alle dinamiche dopate dell’economia americana.
L’Italia in questo scenario ha una bilancia commerciale positiva su tutte le latitudini, quello che gli manca è una rigorosa strategia geopolitica economica che trovi indispensabili strumenti di ripartenza nel mercato interno e nel suo sistema bancario. Le aziende e gli imprenditori italiani hanno convergenze e relazioni invidiabili nel mondo e la visita a Pechino dei responsabili economici del paese lo sta dimostrando, una interdipendenza convergente diviene un nodo intricato da tagliare con le semplici cesoie.
Gli stessi interessi economici italiani con l’Ucraina e la Russia andrebbero difesi con la nostra migliore garanzia internazionale, l’intervento militare italiano sotto egida Ue-Ocse per la smilitarizzazione e la normalizzazione delle relazioni tra Ucraina e la Russia. Sarebbe anche un ottimo test per la politica di difesa comune europea, alla luce delle divergenze fredde in seno alla Nato. La Gendarmeria Europea, guidata e formata dai nostri Carabinieri, potrebbe rivelarsi quale miglior interprete della visione comune, persino nei territori occupati di Gaza, a garanzia della fiducia che Israele ripone in noi.
L’Italia ha un bagaglio di politica estera che solo la storia dimostra nelle sue sfumature. L’augurio è che i nostri decisori e gli esperti governativi ne sappiano dare continuità nel tempo e in silenzio, poiché non troveremo mai qualcuno in grado di dire, indispensabili.