La creazione di un’asse alternativo allo strapotere di Fondo Monetario e Banca Mondiale era nell’aria già da tempo, ma da ieri la creazione di una Banca di Sviluppo interamente governata dai BRICS è diventata una realtà ufficiale. Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa avranno quindi a disposizione il tanto anelato ente sovranazionale che rafforzerà il loro sviluppo e porrà le basi per la crescita di tutti i paesi fino ad ora esclusi dal benessere atlantico ed esterni al circuito di Bretton Woods. La Banca avrà come obiettivi primari il finanziamento di opere infrastrutturali congiunte tra i paesi membri, l’erogazione di finanziamenti agli stati che ne dovessero avere la necessità e la prevenzione di fughe degli investimenti stranieri. Per farlo sarà dotata di un capitale di 100 miliardi di dollari, versati in più tranche dagli stati aderenti in proporzioni diverse a seconda delle proprie disponibilità. Il primo prestito è previsto per il 2016.
La Banca avrà sede a Shangai in Cina, mentre il primo mandato di presidenza quinquennale spetterà all’India, che ha insistito moltissimo durante il summit di Fortaleza per vedersi accordata l’assegnazione della carica. Per il momento la nuova istituzione sarà a disposizione solo dei paesi fondatori, ma non si esclude che già nel prossimo futuro possa aprirsi ad altre nazioni, Argentina in primis. Il paese è infatti sull’orlo di un nuovo default finanziario dopo quello del 2001 e le buone relazioni tra Putin e la presidente argentina Cristina de Kirchner lasciano intravedere qualche margine di trattativa nonostante la forte opposizione del governo di Brasilia. Secondo ilmanifesto.info anche Cuba, fresca della cancellazione voluta da Putin del 90% del debito contratto con l’URSS, e alcuni Paesi socialisti come l’Ecuador, la Bolivia e l’Uruguaysarebbero interessare a partecipare all’asse. E dando uno sguardo alle previsioni di crescita dell’area Brics si capisce anche il perché. Nel giro dei prossimi 10 anni si prevede infatti che questi arriveranno controllare il 30% della produzione economica mondiale, assestando un colpo netto allo strapotere euro-americano.
A questo punto è lecito chiedersi come dovrebbero reagire Europa e America. Da un lato infatti non sfugge che la NATOnon abbia mai esitato ad attaccare gli stati che rischiavano di incrinare il predominio a stelle e strisce (pensiamo all’Iraq di Saddam Hussein che minacciava di sganciarsi dal dollaro per vendere il petrolio in euro o in un’altra valuta più vantaggiosa, pensiamo alla centralità geopolitica di Iugoslavia e l’Afghanistan o alla recente guerra in Siria), ma d’altro canto è pur vero che la costituente delle potenze emergenti non mira affatto a superare gli schemi capitalistici, che ritiene solo di dover epurare delle storture in grado di generare crisi come quella del 2007. Non a caso sono più di qualcuno ha avanzato metafore più o meno ardite tra l’attuale conferenza di Fortaleza e gli accordi di Bretton Woods stipulati nel 1944 dagli alleati.
Allo stato attuale delle cose risulta sicuramente impossibile individuare una previsione più probabile delle altre, ma in molti ritengono di poter affermare che già nei prossimi 10 – 20 anni il dominio atlantico muterà profondamente le sue forme i suoi connotati. La crisi economica ha infatti messo in luce tutte le criticità di un sistema basato sulla semplice accumulazione di denaro che non tiene conto dei fattori meta-economici delle nostre società. Il declino culturale e identitario del blocco atlantico, inoltre, sta coincidendo con la crescita repentina dei sopracitati BRICS e dei MINT (Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia), che nel 2025 si prevede deterranno insieme circa il 50% del Pil mondiale.
Il passaggio di testimone, se ci sarà, non è detto che sia indolore e privo di conflitti: il cambiamento e lo sviluppo non sono mai uniformi né tantomeno sono storicamente forieri di equità. Il mondo ha una dotazione di risorse limitate e sarebbe ingenuo pensare ad una crescita perpetua delle economie capitaliste. Se Brics e Mint nel vicinissimo 2025 deterranno il 50% dell’economia mondiale qualcuno dovrà ridimensionarsi e i più ottimisti non se la prendano se non crediamo nella diplomazia internazionale. Come spieghereste a chi è vissuto per sessant’anni all’ombra del benessere occidentale che non possiamo permetterci di concedergli in maniera illimitata, come abbiamo creduto fino a prima del 2007, tutti i comfort di cui noi abbiamo goduto? Come possiamo persuadere i bambini nigeriani che la terra non è in grado di offrire a tutti uno standard di vita da nababbo? E perché mai qualcuno dovrebbe rassegnarsi a questa idea rinunciando al proprio benessere dopo la diffusione mondiale dell’american way of life? Appunto.