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Parte la Brebemi, un successo di chi vuole fare e non distruggere

Era il maggio 2006 e ancora non sapevo cosa mi aspettava. Avevo 27 anni, vivevo a Roma da 5 anni ed ero tanto arrogante quanto ignorante, ma riuscivo a nascondere bene la mia insicurezza. Da un anno seguivo Antonio Di Pietro, allora parlamentare europeo, come suo ufficio stampa e di punto in bianco, quando il Tonino Nazionale è diventato ministro delle Infrastrutture, ho varcato il portone di Porta Pia per la prima volta.

Ricordo che una delle prime cose che mi disse fu: “Domani abbiamo la riunione con l’Aiscat”. Io non avevo la più pallida idea di chi o di cosa stesse parlando, ma annuivo. All’epoca non c’erano ancora gli smartphone, per cui a ogni parola che uno pronuncia si può subito controllare su Google e non fare figuracce. I cellulari servivano ancora solo per telefonare, non si potevano nemmeno mandare le mail. Sembra passato un secolo!

Ebbene, in poche settimane ho dovuto imparare tutto: il sistema delle concessioni autostradali, il federalismo infrastrutturale, il sistema degli appalti con il nuovo codice, la legge obbiettivo e le riunioni con tutte le Regioni per capire cosa mettere come priorità tra le nuove opere da costruire.

Di Pietro si era inventato questa formula: il federalismo infrastrutturale. All’epoca parlare di sussidiarietà e di potere alle Regioni andava molto di moda, quindi perché non farlo anche con le opere pubbliche, visto che sono le amministrazioni locali che sanno meglio di tutti a cosa dare la priorità? Inoltre, questo sistema garantiva la partecipazione di aziende private per opere che venivano costruite in project financing, sotto il controllo serrato del pubblico. Solo così si sarebbe potuto fare qualcosa in Italia, perché di soldi lo Stato non ne aveva. E così si è dato via al tour: Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Molise (ovviamente), Lazio, etc. Ogni Regione doveva creare una società che avesse la partecipazione di Anas e del Ministero delle Infrastrutture. Doveva poi fare da concedente, occupandosi delle procedure di affidamento, realizzazione, e gestione delle opere ritenute strategiche, anche e soprattutto attraverso il concorso di finanziamenti privati.

Ricordo lo sbarco in Lombardia: 26° piano di Palazzo Pirelli (quello dell’aereo). Quando si dice “Ti et dominet Milan”… Esce dall’ascensore Formigoni, il tavolo infrastrutturale aspettava solo lui. Impettito, e con uno stuolo di persone dietro di lui tra chi gli faceva da scorta e chi gli portava le cartellette. Al tavolo, oltre Formigoni e Di Pietro, c’erano Letizia Moratti, Filippo Penati, Pietro Ciucci di Anas, Castellucci di Autostrade, tra le personalità più importanti.

I due, Formigoni e Di Pietro, si scrutavano, si annusavano, come due animali che non si fidano l’uno dell’altro. Uno dall’aspetto e dai modi contadini, l’altro austero, in grisaglia d’ordinanza, l’erre moscia che dava ancora più un senso di distacco. Si percepiva chiaramente che i due non si amavano, anzi.

Per ragioni diverse, però, nonostante il mio essere radical-pannelliana nel profondo, entrambi mi attiravano. Sarà stata l’autorevolezza di uno e la pragmaticità dell’altro, non lo so, ma ero affascinata da quel quadretto che mi si proponeva e che ascoltavo. Lì, in quel giorno, Di Pietro e Formigoni hanno fatto una parte di storia d’Italia. Dopo essersi studiati (e provocati), dopo aver capito che le posizioni politiche in quel momento non c’entravano, dopo aver capito che entrambi avrebbero potuto mettere la faccia su una cosa grande, l’alleanza si è stretta e da quel momento in poi è stato vero amore!

Bre.Be.Mi, TEEM e Pedemontana, queste erano le tre opere principali che il tavolo aveva deliberato. La firma per la costituzione della CAL (Concessioni Autostradali Lombarde) è stato il passo successivo. Il federalismo infrastrutturale prendeva piede e solo dopo un mese, il 27 maggio 2007, la Bre.Be.Mi prendeva già forma.  

Regione Lombardia promuove l’accordo di Programma per i 62 km di autostrada e i 1420 milioni di euro di investimento. Si riescono a coinvolgere Intesa San Paolo e il gruppo Gavio e l’esborso per il pubblico diventa pari a zero. Il progetto diventa ambizioso: realizzare un’infrastruttura con soldi privati, senza impicci e magagne, senza la magistratura che si mette in mezzo, rispettando tutti i tempi. Una cosa impossibile per un paese come il nostro.

La mia vita è poi cambiata: dopo poco ho cambiato lavoro e ho perso le tracce di entrambi. Nel 2010 mi sono trasferita a Milano e un amico mi dice che Formigoni cerca un portavoce, se mi poteva proporre. Sorrido, mi salta alla mente l’immagine dell’ingresso di via di Torre Argentina, la sede dei radicali, le denunce fatte in campagna elettorale sulle firme false di Cappato e Lipparini e dico: “Ma sì, provaci, tanto non mi prenderà mai”. E invece ha preso me, dopo un colloquio in cui il fatto che avessi lavorato per Di Pietro era per lui garanzia di presenza televisiva nazionale e soprattutto di essere una grande sgobbona.

I tre anni successivi sono infatti così: tv nazionale e grandi sgobbate. Ma questa è un’altra storia. La prima cosa che mi ha sorpreso di Formigoni è stata la sua timidezza, unita alla sua professionalità, alla capacità di macinare ore e ore di lavoro. La mia prima difficoltà è stata quella di switchare e surfare tra diversi argomenti: si passava dal parlare di direttori delle Asl, al buono scuola, a una frana in provincia di Como, alla protesta della Coldiretti sulle quote latte. Lui sapeva tutto e su ogni cosa era preciso e preparato. Un computer vivente. Diverso da Di Pietro che se non si parlava di codici o leggi allora era l’istinto a guidarlo. Su e giù tra Roma e Milano, il corridoio della Conferenza delle Regioni era diventato il mio secondo ufficio. In giro per la Lombardia per partecipare a convegni, incontrare persone, riunioni e io sempre dietro di lui, cercando di captare nei suoi silenzi, le informazioni necessarie. Giornate in cui ogni giorno imparavo qualcosa di più di lui e del mio lavoro.

Un anno dopo il mio insediamento un evento eccezionale: sorvolare la prima tratta di Bre.Be.Mi. Ma allora è vera! Dall’alto ho potuto vedere che quell’opera si stava facendo veramente, che se gli interessi politici dei singoli si fanno da parte e l’unico scopo non è il risultato mediatico (un mio amico giornalista diceva sempre che i giornali il giorno dopo servono solo per incartare il pesce), ma avendo una prospettiva più ampia.

Oggi Formigoni era seduto tra il pubblico. Se non si fosse dovuto andare ad elezioni anticipate, oggi avrebbe inaugurato lui la Bre.Be.Mi. Lo vedo invece in prima fila mentre batte le mani al discorso di Bettoni, presidente della Bre.Be:Mi, vedo la gioia che prova e la soddisfazione di essere stato in gran parte uno dei fautori di questa opera. La prima autostrada forse dopo 50 anni ad essere inaugurata in Italia. Al suo posto invece c’è Maroni, che in realtà c’entra poco con tutto questo. Non c’è nemmeno Di Pietro. Tra tutti quelli che sono sul palco, solo Ciucci e Bettoni, tra le autorità (Renzi compreso), c’entrano qualcosa.

Ma questo è il rischio di tutti i veri politici: fare qualcosa per il bene comune, che rimarrà, che si ricorderà e che varrà qualcosa per gli anni. Oggi, quei 62 km di autostrada sono parte della storia di questo Paese, perché sono la dimostrazione che se si vuole le cose si possono fare.


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