Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori, pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi
Le milizie filo-russe hanno abbandonato la cittadina di Sloviansk senza combattere. Il poco organizzato esercito ucraino ha potuto così riconquistare un pezzo di Donbass senza dover sparare. I miliziani si sono ritirati a Donetsk, la città più grande della regione, circa un milione di abitanti, e anche il simbolo politico dell’autoproclamata «Repubblica autonoma di Donetsk». È anche la città dell’est ucraino più vicina al confine russo, quindi la più facilmente rifornibile dai «fratelli» russi. Insomma, a Donetsk si prepara lo scontro finale tra il governo del neopresidente filo-occidentale Petro Porochenko e gli indipendentisti del Donbass, regione mineraria chiave dell’Ucraina perché in essa si produce una parte significativa del pil annuo del paese.
La strategia seguita dagli indipendentisti russi ricorda quella della Seconda guerra mondiale dell’Urss di Stalin per fronteggiare l’avanzata tedesca: concentrare tutte le truppe e i combattenti in un’unica città incaricata di resistere a oltranza. Chiamata all’estremo sacrificio del non poter capitolare. Nel 1941 toccò a Stalingrado, oggi il grande scontro, su scala ovviamente molto minore ma politicamente con un significato analogo, potrebbe ripetersi a Donetsk. Questa è, infatti, la questione che investitori e operatori dei mercati finanziari devono farsi più di ogni altra nel provare a interpretare la crisi ucraina: quante probabilità ci sono che Donetsk diventi la Stalingrado di Porochenko?
Il governo russo di Vladimir Putin sicuramente è pronto a sostenere la prova di forza degli indipendentisti ucraini. Adesso che l’eurozona è stata germanizzata e che Berlino appare sempre più con le vesti di un Quarto Reich che guarda ad Est con l’ossessione di sempre della storia tedesca, lo Zar Putin non può più permettere alla Merkel di giocare alla politica dei due forni. Amica e partner fedele di Mosca, quando serve negoziare la fornitura di materie prime o garantire spazio alle esportazioni, e partner, anche finanziario, dei contropoteri locali della Russia, come Porochenko nei fatti è.
Per Putin a Ovest degli Urali c’è un solo impero con il quale la Germania può stringere accordi, il suo. O Berlino lo accetta e lascia gestire a Mosca, alla russa, gli affari «territoriali», oppure servirà una nuova Stalingrado per ricordare ai tedeschi che la storia ricorre e che nelle praterie della Russia bianca e nelle città da sempre russe la politica estera tedesca non può sfondare.
Il Quarto Reich, nei fatti disarmato militarmente, non può spingere il braccio di ferro con Mosca oltre una certa soglia. Non è pronto a una nuova Stalingrado in terra ucraina. Ma la dinamica dei fatti spesso sfugge di mano come mesi di vicende poco normali, proprio in Ucraina, certificano.