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Perché il bazooka di Draghi rischia un flop

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo l’analisi di Tino Oldani, apparsa sul quotidiano Italia Oggi.

Ma quanto risponde al vero, come sostiene il premier Matteo Renzi, che «le banche sono piene di liquidità e non hanno più alibi»?. Quanto è fondata la sua tesi per cui «con l’operazione Draghi non hanno più ragione di lamentarsi, né di mettere in sofferenza i piccoli artigiani, gli imprenditori del Nordest, le partite Iva. Navigano nei soldi, li spendano. Grazie»? In effetti, poco più di un mese fa, facendo eco a una conferenza stampa del presidente della Bce, i giornali annunciarono che da Francoforte erano in arrivo mille miliardi: soldi della Bce prestati a tasso irrisorio (0,15%) agli istituti di credito proprio per porre fine al credit crunch e fare ripartire l’economia in Europa. E Renzi, confondendo come d’abitudine gli annunci con i fatti, deve avere pensato che grazie a quei mille miliardi anche l’Italia può ripartire a razzo.

Purtroppo non è così. A sostenerlo non è un avversario politico di Renzi, ma un serio economista che insegna all’Università Cattolica di Milano, Angelo Baglioni, che sul sito lavoce.info firma una breve analisi, eloquente già nel titolo: «Nuovi prestiti Bce, ma le imprese resteranno a guardare». Prima di scrivere, non bastandogli i resoconti entusiasti dei giornali, Baglioni ha voluto documentarsi alla fonte. Risultato: «Purtroppo il diavolo si nasconde nei dettagli: se si va a leggere il documento della Bce, che spiega le technicalities delle operazioni, si scopre che potranno essere utilizzate proprio come le precedenti Tltro (Targeted Longer-Term Refinancing Operations), che furono in gran parte impiegate per comprare titoli di Stato, e lucrare così la differenza tra il loro rendimento e il tasso di favore pagato alla Bce».

Eppure, spiega Baglioni, la mossa di Draghi sembrava dettata proprio dalla volontà di non ripetere l’errore precedente, per cui i miliardi della Bce erano stati usati dalle banche per aggiustare i loro bilanci, comprando titoli di Stato, invece di aumentare la disponibilità di credito alle imprese. Per questo, a inizio giugno, il tasso d’interesse sui finanziamenti Bce era stato ridotto dallo 0,25% allo 0,15% (il minimo storico), e parallelamente era stato introdotto un interesse negativo dello 0,10% sui fondi bancari lasciati in deposito presso la Bce. Agevolazioni di fronte alle quali, scrive Baglioni, si presumeva che vi fosse “qualche vincolo o almeno qualche incentivo a utilizzare i fondi per prestarli alle imprese, soffocate dal credit crunch”. Ma dalla lettura attenta dei documenti della Bce, è emerso che così non è.

I famosi mille miliardi della Bce sono stati suddivisi in due tranche, la prima di 400 miliardi, a cui in due anni ne seguiranno altri 600. L’erogazione dei 400 miliardi avverrà tra settembre e dicembre di quest’anno, a favore dell’intera zona euro (28 Paesi). «Ciascuna banca potrà prendere in prestito dalla Bce una somma pari al 7 per cento dello stock di prestiti in essere alla fine di aprile 2014». Poiché a quella data i prestiti alle imprese erano poca cosa, il 7 per cento di poco significa quasi niente. «Dunque», osserva Baglioni, «nella sua prima fase il provvedimento non crea nessun incentivo ad aumentare i prestiti alle imprese». Per questo le banche che prenderanno i primi 400 miliardi della Bce, potranno destinarli tranquillamente all’acquisto di titoli di Stato, dal rendimento sicuro, come hanno fatto finora.

«Qualche incentivo in più», spiega l’economista della Cattolica, «viene dal meccanismo con il quale saranno determinate le sei tranche successive, che verranno erogate ogni trimestre, dal marzo 2015 al giugno 2016, per un ammontare di 600 miliardi. La somma che ciascuna banca potrà prendere a prestito sarà proporzionale al flusso netto dei nuovi prestiti erogati nel periodo che va dal maggio 2014 al mese dell’operazione». Ciò significa che soltanto aumentando il flusso di nuovi prestiti, ciascuna banca potrà avere dalla Bce maggiori prestiti nei trimestri successivi. In linea teorica, un incentivo concreto a dare, di trimestre in trimestre, più soldi alle imprese.

Sul piano pratico, però, potrebbe non cambiare assolutamente nulla, in quanto – sottolinea Baglioni – «non c’è nessun vincolo nella destinazione dei prestiti ricevuti dalla Bce, che possono essere utilizzati a discrezione dalla banca che li riceve». Per la verità, aggiunge l’economista, un piccolo limite è previsto, ma è talmente modesto da risultare ininfluente: si tratta di un benchmark che ogni banca dovrà rispettare, pena la restituzione anticipata dei fondi, assicurando una crescita minima dei prestiti concessi nel biennio maggio 2014-aprile 2016. Ma poiché prima del maggio 2014 molte banche hanno registrato una crescita dei prestiti pari a zero, o addirittura negativa, «il rispetto del benchmark finale potrà essere compatibile anche con il fatto che una banca utilizzi i soldi della Bce per comprare titoli di Stato, senza aumentare di un euro i prestiti alle imprese». Proprio così: neppure un euro in più alle imprese. Conclusione di Baglioni: «Per questi motivi, è lecito dubitare della efficacia delle nuove operazioni Tltro».

A cosa servono, allora, i mille miliardi della Bce? La spiegazione, che Baglioni lascia intuire, è molto semplice: lucrando la differenza tra lo 0,15% e il 3% dei titoli di Stato italiani e spagnoli a dieci anni, le banche (italiane e non) potranno usare i soldi della Bce per ricostruire il loro capitale, eroso dalla crisi e dalle speculazioni finanziarie sbagliate degli anni scorsi, e consolidarsi così alla vigilia degli stress test della Bce. Quanto al credito più abbondante per le imprese, se ne riparlerà dopo il maggio 2016. Prima di allora, parlare di ripresa dell’economia sarebbe pura illusione. Ma questa, come si è visto, è un’arte in cui Renzi non ha nulla da imparare.

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