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Quanto po’ ‘n pilu di fimmina? Duello verbale tra Pietrangelo Buttafuoco e Ottavio Cappellani

Quella che segue è la trasposizione un po’ scritta e un po’ cantata della conversazione che si tenne qualche tempo fa tra Ottavio Cappellani autore, tra gli altri, di “50 sfumatura di minchia” e Pietrangelo Buttafuoco. In questa forma non fu mai edita in quanto considerata di ardua comprensione con grande scorno dello scrivente che a distanza di tempo con il primo foco della bella stagione a voi lettori la ripropone.

La presente è consigliata a pubblico adulto o da minori accompagnati. Come ebbe a dire un certo Valentino che presenziò alla conversazione: – Dopo quello che ho sentito mi vado a dire dieci rosari – .

Di fimmine si andò parlando anzi, peggio, di quello che, in fatto di sessualità, le fimmine vanno pensando. Roba, signori mei, che sarebbe meglio levarci mano (lasciar perdere), subito subito. E invece.
Invece, si alzi il sipario ed entrino i paladini. Sono cavaleri che non abbisognano di presentazione: Pietrangelo il saraceno, Ottavio il krausiano.

Cò – mù? crà ù siàno ? Krà – ùs, con la kappa. Il filosofo. Le parole sono così scritte, con lo stacco e piene di accenti perché, a Catania, la lingua non si parla, ma si canta. Lo stacco, dunque, fonetizza.

Amunì (andiamo). In guardia.

Parlare della donna vuole dire parlare d’amore – fa il saraceno occupando il centro della scena. Nònsi, ribatte il krausiano pronto a sfidarlo nell’arena. Al che, Pietrangelo, di tacco e di punta, piglia e fa con Petrolini:

[..] Amor che null’amato amar perdona
se tu le mani ormai ti sei lavate,
ti consegno il mio cuore in questa biscia,
floscia [..]

Ottavio, che indietreggiar non vuole, si stira i capelli, indietro portandoli e, dalla barba proferir, fa, queste immediate parole: – L’amore affar per donne non è. L’amor, quello ideale, esistere non può. L’amore aristocratico di un tempo che fu, a questione d’interesse finì. E il denaro per l’orgasmo più di amore fa-.
Da cui la legge matematica discende che: – Se alla donna l’amor aggiungi, voi, uomini, contro il mutuo ammaccate i fungi (il muso).

Ora, mentre la voce fuori campo sparge inchiostro masculo su carta femmina, i paladini entrambi ammettono, nella verbal tenzone, il derivar dell’intelletto da “donna” verso “amore”. E si rituffan nella tenzone: – L’uomo ama mentre ella, la donna, è sostanza – E’ la sintesi di Pietrangelo, di petto.
Certo che è sostanza, risponde con la di lui possanza, l’ Ottavio, tutto fiero. – La nana bianca ella possiede. Il viril clitoride. Eretto. La donna è fatta per la riproduzione. La natura del creato non ha per lei, la concupiscenza, riservato. E questo, per il rival, non fu colpo di fioretto, ma scupittata (fucilata).
Ma il cavaliere saraceno, ha dentro foco e nelle parole il registro trova che gli da sostegno e portamento. E con la mano, in ciel, volute spande, mentre facendo sue le stoccate del rival, rimanda: – L’amore è civilizzazione. La donna, invece, è natura dunque kultur, col kappa -. E il Kappa, a ghirigoro, disegna seguendo il di lui dito sulla scena.
Senza cedere di un centimetro, fa Ottavio: – la donna è tempio, l’uomo è sacerdote. Ma chi è colui che negli inferi a salvarla scende? Chi è il cavaliere che tutto le perdona, finanche il tradimento?
Trà dì mè ntò ? – trasalì Pietrangelo mentre a fargli coro tutta la Via Etnea era in totale stordimento.
Zompa indietro allor l’Ottavio, consapevole del fallo. – Tradimento no -.
– Proprio no caro mio compare paladino -, affonda Pietrangelo: – Stiamo attenti. Non ci confondiamo. Una cosa è Re Artù, una cosa è tutto il resto -.

E Pietrangelo, volgendo lo sguardo suo verso la sala, piglia e chiede: – Ma, oggi, in che anno semu (siamo)?
E la voce fuori campo: – Siamo nel 2013. E il tradimento è ancora un gravissimo problema – . – Vi prego – fa la voce fuori campo – Pileri cari, per favore, questa schermaglia, scritta, ha da finiri (finire). E quindi dentro il rigo ava trasiri (deve entrare). Insomma, dill’amuri femminile, quacchi cosa l’ama diri! Pietrangelo aiutami ca Ottavio si fissau (si è fissato) e ntu sticchio vo’ trasiri!

L’ Ottavio riparte come la fiera ‘nta l’ovili (nell’ovile) e appunto fa: – Di sfondamento voglio diri-.- Se nello sfondamento dobbiam per forza traslocare, vorrà dire che la contesa questione edile ha da divintare.
E Pietrangelo a quel punto: – Tu, voce fuori campo ca sì ‘ngigneri, finalmente qualche cosa, così, puoi diri. Per tutto quello che, dopo lo sfondamento, a posto nun si po’ mintiri (non si può mettere), per la domanda di condono tu po’ viriri (te ne puoi occupare) -.

Ma Ottavio cavaleri, trasi e nesci che pinseri (con i pensieri) ed è difficile starici rarreri (stargli dietro). – Tutta colpa del minimalismo – dice Ottavio che continua: – La casa, la caverna della modernità, è diventata una scatola tutta bianca eretta a tempio d’estetica e chiccheria dal marketing che è la nostra camurria.
La modernità è dunque la rovina. Quanto alle donne e all’amuri solo l’esatto contrario ha saputo diri. E, con le sfumature, il krausiano, a colpi di pettine e forbice in catanese stretto, molte ipocrisie moderne ha svelato. Con le parole autentiche, signori miei, eviscerate delle sorelle di lido e fatte contraerea semantica contro le fantasticherie della casalinga anglosassone che ha condito la fiaba dell’amor cortese con gli attrezzi del mestiere di quei film malarucati (maleducati), tutti manette e timpulati.

E’ l’eccesso di minimalismo che entra nella vita, dentro l’essere, masculo e fimmina, a fare l’uomo minimale. Facendo pochezza dell’essenza. L’uomo a componente d’arredo si riduce e al magazzino del centro commerciale si va a recuperare. A basso costo, con tanto di codice a barre, pronto a essere sostituito se al momento di rimetterlo a posto avanzano bulloni e viti.
Cinema e televisione hanno poi omologato quella poca fantasia di ogni nostra jurnata, e dei Pretty Woman o dei Notting Hill, più che spunti, si fa solo copia sputata.

Salta a questo punto sù Pietrangelo a svelare il lapsus rivelatore, del casato d’Inghilterra, l’ultima progenitura. L’ultimo rampollo, dell’arte militari, conosce solo del computer u cugghiunari. I paladini, sul punto, d’accordo paiono andare e Ottavio infatti aggiunge che: – la società dello spettacolo s’ammuccau l’amor cortese e ni lassau u masculu che di Rambo nella stanza da letto vuole fare le riprese.

Il saraceno con serio proferir prosegue: – L’uomo è inetto. E a riprova di quel che ho detto, un fatto vero ora vi prospetto. Un signor del Veneto che un impero avea costruito a partir dal nulla, nel suo figliolo vedea più che l’erede ancora quello ra culla (della culla).
Il fato volle che, dall’Oriente, una dama bionda, il suo figliol si prendesse. Il germinar nel ventre della giovane del seme del casato confermò al vecchio l’accelerarsi dell’epilogo paventato. Ma, la sorte meretrice, che della ragion dell’uomo si fa beffa, apparecchiò per questa storia la fine più felice. Fu dell’Oriente la giovane dama, bella e matrice, a dar seguito alla stirpe e all’impero mentre il rampollo, per non far danni, fu lasciato ai giochi dei suoi vent’anni- .

All’uomo, proprio come in questa storia, il ruolo di co-protagonista è assegnato. Col rischio, concreto, di retrocedere a comparsa. Proprio come al Turi delle sfumaturi.
L’uomo ha perso bussola e valori – dice Pietrangelo, il più cortese de ru pileri – .
Non si fanno più quei riti ch’erano percorso esperienziale. Sulla rete navigano senza rotta le navi scuola di una volta. Come quando con la mamma dell’amico si sperimentava, nell’altrui sesso, la prima immersione che se non era amore era pur sempre innocente apnea di passione-. Tappa esperienziale assai fondamentale perché, non so se è proverbio ma, se nun hai vistu u pacchiu nun viri mancu u sticchiu. (questione filologica che se non conoscete, noi ci rammarichiamo).

“Quanto poteva ‘n pilu di fimmini” faceva dire Martoglio ai suoi di pileri. “La donna va presa e non compresa”, era u pinseri (il pensiero) del cineasta amante ro rarreri (del didietro Tinto Brass).

Ora che il sipario stiamo per far calare, le scuse al gentil sesso ci sentiamo di dover fare. Consapevoli che di troppo babbìo (cazzeggio) non si può certo esagerare.
E un altro po’ di scuse alla Santa di Catania vogliamo fare che da contrappeso deve fare a questa città, che in fatto di fimmine meglio di Brancati nessuno seppe raccontare, e che è così allicchittiata, tappinara, fitusa, finicchia e cussì spacchiusa da fariti scattiare (farti andare fuori di senno).

Ad ogni modo per chiosare questo finale, tanto vale l’aiuto ricercare in quella regola tutta siciliana che al nostro saraceno sovvien giusto al momento di terminare: – Di quello che non si può dire, meglio non straparlare.

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