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Renzi e le vere sfide della prossima Commissione europea

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il processo d’integrazione europeo ha vissuto nel corso del tempo alti e bassi, ma i perduranti effetti della lunga crisi economica rappresentano una seria minaccia alla tenuta del progetto europeo che necessità di una messa a punto e di un rilancio.

Non può quindi destare stupore se l’avvio della nuova legislatura – che coincide con l’insediamento del semestre di turno della Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione – si consuma con l’ennesimo scontro tra politiche di rigore e politiche di crescita; uno scontro che valica gli stessi confini tradizionali delle famiglie europee e che lascia intravedere all’orizzonte una sempre più accentuata separazione fra le due anime dell’Europa: quella nordica e quella mediterranea.

Eppure, gli effetti delle politiche di rigore – dalla riproposizione acritica del patto di stabilità fino all’impossibilità di non computare nel deficit gli investimenti che producono crescita ed occupazione – dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti: nessuna significativa ripresa dell’economia (finanche il locomotore tedesco non cresce ai ritmi sperati) ma, per inverso, un aumento esponenziale della disoccupazione con picchi mai raggiunti tra le giovani generazioni.

Innanzi a un’emergenza di tale natura, che condanna milioni di ragazzi a una condizione di  perenne precarietà pregiudicandone sogni, speranze ed aspettative, non serve una mera concessione di flessibilità di bilancio, ma uno shock positivo dell’economie europee per stimolare crescita e sviluppo senza le quali non è pensabile affrontare la piaga occupazionale.

Mentre la politica si dilania su scelte di minima che non inciderebbero in un contesto così buio e duro – vedi la mitologica flessibilità di Renzi, di cui tutti parlano ma nessuno sa cos’è – i mercati sono sempre più minacciosi ed il rischio che la tregua da questi concessa nell’ultimo anno si esaurisca è tutt’altro che utopia.

L’ombra di una nuova crisi che andrebbe ad abbattersi con conseguenze catastrofiche su un corpo già malato e provato come quello delle economie di molti Paesi dell’eurozona, non è un’ipotesi di accademia, ma un rischio reale da tenere in debita considerazione e con il quale dover fare i conti.

Dalla crisi del Banco Espirito Santo che evidenzia i punti deboli del sistema bancario portoghese, fino al bollettino della Bce che annuncia revisioni al ribasso delle stime di crescita in tutti i paesi dell’eurozona, passando per il dato sulla produzione industriale e lo spettro (ormai realtà) della deflazione, abbiamo una mole significativa di segnali, tutti al negativo, che indicano la possibile  comparsa di una nuova bufera.

E’ quindi in ballo una partita la cui posta in gioco è il futuro dei cittadini europei della stessa Unione.

Si può giocare in difesa, rinchiudersi nei vincoli e nel rigore, e sperare che un’eventuale nuova tempesta non faccia molti danni come alcuni nell’UE sembrano voler purtroppo fare. Oppure si può buttare il cuore oltre l’ostacolo, tracciare nuove linee di politica economica e monetaria e scommettere su crescita e sviluppo.

E’ una scelta tra chi vuole accontentarsi di un governo di ordinaria amministrazione dell’Europa condannandola al declino ed all’implosione, e tra chi vuole cambiar rotta, voltare pagina, ed aprire un nuovo capitolo della nostra storia comune.

Ma soprattutto è una scelta dirimente che identificherà coloro che vogliono costruire una nouvelle Europe e coloro che voglio disgregarla. Il programma, gli intendimenti, l’azione e gli uomini che contraddistingueranno la nuova Commissione rappresentano un primo momento di scelta e di confronto. Ma decisivo.


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