Nell’era delle società liquide, come le ha argutamente etichettate il sociologo Bauman, non accade poi così infrequentemente di imbattersi in qualche assurdità travestita da sapere scientifico né di affidare ad un qualche indicatore stiticamente sintetico la decodificazione di un fenomeno molto complesso. Tuttavia in questo caso nemmeno il cinico più ironico o il pessimista più tragico possono evitare di inarcare il sopracciglio in segno di disappunto, di certo freddati dall’impatto con una simile irragionevolezza. L’ultimo rapporto Ocse in ordine di tempo, il primo in termini di numerazione delle pubblicazioni sul tema, ha avuto come oggetto di ricerca il tasso di alfabetizzazione finanziaria dei quindicenni di diciotto Paesi diversi e il test sottoposto ai giovanotti comprendeva, tra le altre cose, problemi relativi alla gestione di prestiti a medio-lungo termine, al funzionamento di un qualche prodotto bancario e alla struttura di una generica assicurazione.
Come sempre accade in queste situazioni l’Italia non ha brillato in quanto a conoscenze e anzi i nostri pupilli sono fortunatamente sotto la media mondiale. Mentre in Cina e in Giappone un ragazzo su cinque è estremamente informato su come chiedere un mutuo bancario con capitalizzazione semestrale degli interessi per acquistare un fumetto o un ricambio per il motorino, i “bamboccioni” italiani sono costretti a chiedere i soldi ai genitori.
Nonostante lo scetticismo circa la bontà dell’impiego del tempo dei ricercatori che hanno curato l’indagine, crediamo valga la pena commentare appena più dettagliatamente i dati raccolti. Se non altro perché il penultimo posto dell’Italietta rappresenta un dato finalmente positivo dopo anni di punteggi infausti.
L’argutissima ricerca mostra come i pargoli dei paesi più ricchi abbiano raggiunto risultati più soddisfacenti dei colleghi poveri, ma il dato più ilare è quello che riguarda il discostamento delle previsioni dei ricercatori dai dati empiricamente verificati. Costoro hanno infatti stimato un valore atteso di alfabetizzazione finanziaria per ciascuno Stato in base ai dati conseguiti, sempre nelle ricerche Ocse, nella comprensione di un testo e nel saper far di conto (literacy e numeracy per gli amanti della precisione). Alcuni paesi sono andati oltre le aspettative, altri invece hanno disatteso per difetto il pronostico. Indovinate cosa è successo all’Italia? Ovviamente, ma questa volta orgogliosamente e fortunatamente, siamo stati al disotto del previsto ed è assolutamente doveroso esultare per l’insipienza finanziaria dei nostri giovani almeno per due motivi: in primis perché a quindici anni non ci si deve occupare di finanza ma di storia, filosofia, letteratura, arte, matematica e scienza naturale, in secundis perché la ricerca afferma implicitamente che i ragazzi facciano quello che la scuola prevede debbano fare. Sono cioè più abili a leggere e contare che a richiedere mutui in banca o commerciare derivati.
Tuttavia, al fine di prevenire ingiustificati orgogli nazionalistici, ci permettiamo di ricordare anche cosa dicono le statiche mondiali relative all’alfabetizzazione matematica e letteraria. Sapremo pur leggere meglio che firmare cambiali, ma non ci scordiamo che l’Italia è ultima nelle classifiche dell’Ocse in quanto a comprensione del testo e abilità matematiche di base e che nel meridione un ragazzo su quattro abbandona gli studi prima dei 18 anni. Siamo oltremodo convinti che non sia un test a crocette somministrato in batteria a vagliare le capacità di chi studia, ma non possiamo nemmeno ignorare la disarmante avanzata dell’analfabetismo funzionale. Come ha sottolineato il latinista recentemente scomparso Luca Canali, la maggioranza degli studenti italiani non è infatti in grado di comprendere un testo di media difficoltà e di dare una profondità storica agli eventi che li riguardano quotidianamente.
Speriamo sia chiaro che la vittoria emergente dal test è poco più che una vittoria di Pirro e l’ironia condotta sulla ricerca mira a gettare uno sguardo sulle motivazioni che spingono un organo così prestigioso a cimentarsi in uno studio apparentemente così futile. Il problema, nemmeno a dirlo, è di ordine politico: che senso ha testare l’attitudine finanziaria delle giovani reclute in un periodo di crisi come questo se non quello di apportare modifiche al loro sistema scolastico? Si badi che la media mondiale in quanto a senso economico-finanziario è di poco superiore al 20%, ragioniamo di cifre molto inferiori ai picchi del 90% nelle abilità matematiche dei ragazzi cinesi. Non ci sembra pertanto così irragionevole immaginare che un qualche organo direttivo europeo voglia riparare con zelo a questa lacuna sostituendo la finanza al greco e alla filosofia o a qualsiasi altra cosa più importante che un ragazzo ancora in fase di maturazione dovrebbe assimilare.
Probabilmente anche Quintiliano e Catone il censore si comportavano da tecnocrati dell’istruzione, ma almeno evitavano di ricorrere allo scientismo dei numeri. Studiare il latino non dà il pane e non è una condizione né bastevole né tantomeno necessaria per stipulare un mutuo, ma forse permette una consolazione meno amara davanti alla mancanza dell’uno e dell’altro e, senza offesa, anche un qualche grado di maggiore consapevolezza rispetto ad un calcolatore più o meno scientifico.
Link del report dell’Ocse: http://www.oecd.org/education/first-oecd-pisa-financial-literacy-test-finds-many-young-people-confused-by-money-matters.htm