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Sergio Romero e le (poche) stelle dei Mondiali 2014

Il taccuino mundial di Gennaro Malgieri

La partita più noiosa del Mondiale ha reso più evidente la mediocrità di una competizione che malinconicamente si avvia alla conclusione. Argentina e Olanda hanno dato luogo ad uno degli spettacoli calcistici più deprimenti che si siano visti nelle ultime competizioni internazionali. Per centoventi minuti non sono state in grado di esprimere un’idea di gioco, di suscitare un’emozione, di inventare una sola giocata che scacciasse la mestizia piombata su una serata  triste come quel pallone rotolante sul terreno che non sapeva dove indirizzarsi.

Lionel Messi, impigrito e come spaesato, non ha neppure tentato la solita fiammata che in qualche occasione lo ha riscattato da esibizioni sbiadite. I fuoriclasse di una volta, soprattutto nei momenti di difficoltà, prendevano per mano la squadra e cercavano di portarla alla vittoria: non sempre ci riuscivano, ma la genialità che esprimevano riusciva perfino a coprire modeste prestazioni. Ecco: dopo questo Mondiale non vorrei più sentire il nome di Messi accostato a quelli di Pelé e di Maradona. Il ragazzo, ormai cresciutello, dovrebbe fare altro rispetto a quanto ha fatto vedere contro gli oranje e nel corso di tutto il torneo.

Di Arjen Robben, tutt’altro che smagliante, non dirò nulla: se non altro a nessuno è mai venuto in mente di qualificarlo come un inarrivabile fuoriclasse. E’ un campione, e tanto basta. Un campione che sa commuoversi e trovare negli occhi della sua donna e nelle lacrime del suo bambino la spinta per superare una delusione, come miliardi di telespettatori hanno visto alla fine dell’incontro. Mi piace ancora di più dopo l’umanissimo umile gesto di accostarsi ai suoi cari e trasmettergli il suo dolore misto alla gioia di non sapersi solo. Gli eroi dopo le battaglie tornano a casa, non s’incanagliscono nei lupanari. Dio, calcio e famiglia? Ce ne fossero di Robben in giro.

Dunque, sarà Argentina-Germania. Un’altra volta. Fino alla notte dei tempi, presumo. Stucchevole. Da giorni ci sentiamo ripetere come una stanca litania quante volte le due nazionali si sono affrontate, chi di esse ha vinto di più e quale delle due è arrivata più lontana. Statistiche. Numeri. Cifre fredde come quelle che formano i bilanci delle società per azioni e degli Stati. Ci interessa poco, a questo punto. Vorremmo vedere un po’ di gioco, se è possibile. La Germania, rinnovata e tonica per quanto non spumeggiante (ma non rientra questo aspetto nella sua tradizione), darà il meglio, senza ombra di dubbio. L’evanescente compagnia Albiceleste offrirà quel che potrà. E siccome ha già mostrato tutto il suo risibile repertorio, non ci aspettiamo nulla di strepitoso. Poi è possibile che finisca in gloria con i soliti rigori. E leggeremo ancora di Messi come il più grande, di Mascherano motore della squadra, dei punteros Higuain e Aguero che non segnano perché vengono da stagioni stressanti, di Lavezzi che non dà spettacolo perché Sabella gli chiede di “sacrificarsi” ed amenità di questo genere.

Mi auguro che leggeremo anche di un grande portiere, fino a ieri ignorato da pubblico e critica. Ci volevano le parate della serata paulista, decisive per imporlo all’attenzione e guardarlo come chi ha  “regalato” all’Argentina il biglietto d’ingresso al Maracanà. Eppure Sergio German Romero non era uno sconosciuto fino al Mondiale. E’ un ventisettenne che ha giocato in Argentina, in Olanda, in Italia e in Francia. Se non ha riempito le pagine dei giornali è perché non ha mai voluto dipingersi diverso da quello che è. Personaggio introverso, di poche parole, quasi sempre in disparte, non sempre ha legato con i club nei quali ha militato dove, va pure detto (ed è uno dei misteri del calcio), ha comunque dato il meglio. Certo, chi cercasse sue foto mondane rimarrebbe deluso. Non si conoscono scandali legati alla sua vita privata. E’ felicemente sposato dal 2008 con una delle più affascinanti soubrette argentine, Eliana Guercio che gli ha dato un figlio. La Sampdoria lo acquistò nel 2011 per disfarsene due anni dopo, senza un perché. E pur restando proprietaria del suo cartellino, lo passò al Monaco di Claudio Ranieri che nella scorsa stagione gli ha fatto fare soltanto qualche comparsata. Non sappiamo se dopo l’impresa di San Paolo la Samp se lo terrà, ma fossimo in lui  cercheremmo altri lidi.

Del resto, l’uomo è serio e sa fare il suo mestiere. M’impressionò due anni fa vedendolo in azione. Ero in vacanza in Carinzia, nello stesso albergo che da anni mi ospita dove completavano il loro ritiro i blucerchiati allenati da Ciro Ferrara. Incrociavo Romero nella hall come tutti i giocatori: qualche parola con questo e con quello, in particolare con il mister a cui augurai di vederlo presto sulla panchina del Napoli. M’informai su quel gigante di quasi due metri, dalla lunga capigliatura, quasi sempre accigliato e con le cuffie ben piantate in testa. Seppi che era il nuovo portiere della nazionale argentina da me amata ben prima che spuntasse l’astro di Maradona. Ero curioso di vederlo giocare. E l’occasione che non mancai di cogliere fu un’amichevole di lusso a Sankt Veit con lo Schalke 04, terza classificata quell’anno nella Bundesliga. Una partita che non disse niente, ovviamente, (finì 0 a 0) ma mi fece vedere in azione un difensore giapponese, con spiccate attitudini offensive, che continuo a seguire con simpatia, Atsuto Uchida e, appunto, Romero, protagonista di un paio di parate che rivelavano doti non comuni. Restai senza parole quando la Sampdoria se ne disfece. Sono stato felice di vederlo tra i pochi “eroi” di questo Mondiale, accanto ad altri portieri come Ochoa, Navas, Neuer.

A Romero, dunque, si deve un’altra Argentina-Germania. Più che a Messi e blasonati compagni di squadra. Nell’attesa che l’Olanda finalmente cresca. Cominciamo a disperare: se non ha vinto un Mondiale con Cruijff, van Basten, Gullit, Rijkaard, Krol, Rep, Neeskens e via ricordando, può vincerlo con spenti van Persie?

Speriamo, comunque, che la Coppa del Mondo non venga assegnata ai rigori, per quanto una sfida tra Romero e Neuer  varrebbe un’intera partita.

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