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Vi spiego perché non è la corruzione il problema vero della pubblica amministrazione

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi, apparso sul quotidiano Italia Oggi.

Le denunce generiche dovrebbero sempre essere bandite dalle relazioni di chi occupa ruoli istituzionali. Non aiutano a migliorare i problemi e fanno calare una cappa di negatività sull’intero marchio Italia. Se, poi, il richiamo alla «corruzione che è ovunque» viene addirittura dal procuratore generale della Corte dei conti, allora c’è davvero da rimanere disorientati. Non perché la corruzione nella pubblica amministrazione non esista, peraltro non è certo un fenomeno originale degli ultimi tempi, o non sia un problema, ma perché, nonostante tutto quello che si possa pensare, non è questo il principale problema della p.a. italica. Operando da anni nel libero mercato del Belpaese posso confessare che non ho mai ricevuto richieste non legali dai funzionari pubblici delle molte e diverse amministrazioni incrociate sul campo del fare. Perciò, sparare nel mucchio della corruzione generalizzata e sistemica equivale a dare dell’Italia una rappresentazione domestica e, soprattutto, internazionale ingiusta e non veritiera. Se, poi, la situazione fosse così sideralmente distante dall’Eurozona, rimane sempre da capire per quale strana ragione la Corte dei conti più costosa dell’Ue non abbia saputo far nulla nel corso degli anni per ridurre un fenomeno tanto abnorme. Poteri di azione e risorse per agire, ripetiamo si tratta della Corte dei conti che costa di più ai contribuenti che la mantengono, non dovrebbero mancare.

Il principale problema della p.a. italiana, quello che zavorra il nostro pil e che culturalmente ci condanna a essere europei di serie B, è la sua incapacità di conseguire risultati operativi nei tempi e con gli stessi costi medi che ci sono a Vienna, Berlino o Bruxelles. Se per liquidare un progetto di ricerca il Mise e le imprese di cui si avvale impiegano temporalmente fino a dieci volte di più dell’analoga istituzione di Helsinki, il problema non è la corruzione, ma il fatto che la macchina amministrativa agisce su un binario morto. Produce carta fine a se stessa. Dieci anni dopo la nascita dell’euro la p.a. italiana rimane anni luce distante dai processi amministrativi tedeschi o olandesi. È una zavorra organizzativa incatenata nel fare da un monopolio giuridico-formale che nulla riesce a produrre nei tempi e nei modi che la globalizzazione richiede. Il burocrate non fa perché ha sempre pronta la scusa per bloccare tutto: «Se agisco in maniera diversa, magari più spedita poi la Corte dei conti potrebbe chiamarmi in giudizio». È lì, nel pericolo potenziale dell’azione della Corte dei conti, che si consuma il declino italiano: fatto di una p.a. costosa e per nulla capace di assecondare la modernità del business. Magari, fosse tutto riducibile alla sola corruzione.

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