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Vi spiego perché spread e mercati possono travolgere pure Renzi

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi, apparso sul quotidiano Italia Oggi.

Non bisogna farsi depistare dal Portogallo e dalla crisi dalla banca Espirito Santo. La fiammata dello spread tornato in area 180 per i Btp decennali, che quindi oggi pagano un rendimento reale del 2,65% lo stesso del 2012, segnala al governo italiano fatti ben più importanti. Solo il presidente della Bce, Mario Draghi, ha perfettamente chiara la situazione: se riparte la speculazione, stavolta nel mirino dei ribassisti non ci sarà più l’euro e la tenuta della moneta unica con tutti i suoi membri, ma la sola Italia. I mercati, questa volta, concentreranno l’attacco sull’unica economia dell’eurozona che è stata incapace di fare le riforme compiute e le liberalizzazioni, con annesse privatizzazioni delle municipalizzate, e attaccherà a ragione veduta, perché vorrà mettere l’Italia di fronte al suo punto di non ritorno: ora che c’è per la prima volta da anni un premier con una solida maggioranza di voti diventa chiave capire se e quanto il Belpaese è davvero in grado di riformarsi.

Matteo Renzi non potrà più guadagnare altro tempo lanciando consultazioni sulle varie riforme in agenda. O le fa e le sottomette alla prova dei mercati per testare in profondità di quanto l’equilibrio non competitivo italiano è stato cambiato, oppure la speculazione potrebbe investire i Btp con l’obiettivo di mettere alle corde l’Italia e costringerla a fare o a uscire dall’euro.

La consapevolezza della gravità della situazione c’è tutta nel Pd e al ministero dell’Economia. Nel corso di un seminario a porte chiuse che si è tenuto questa settimana a Roma con molti rappresentanti di vari investitori istituzionali alla presenza del ministro Pier Carlo Padoan, il deputato piddino Giampaolo Galli ha detto che l’Italia sta ballando sulla tolda del Titanic e che la situazione è critica.

Del resto a Francoforte e a Berlino sono perfettamente consapevoli del fatto che, al sesto anno di crisi dell’eurozona, l’Italia rimane l’unico paese che non ha saputo riformare e liberalizzare il mercato del lavoro, modernizzare il pubblico impiego, liberalizzare i mercati locali soggiogati dai monopoli pubblici territoriali. Mentre Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo hanno tagliato gli organici della pubblica amministrazione, liberalizzato ingresso ed uscita dal mercato del lavoro e adottato spending review vere, a Roma i tagli della spesa corrente sono rimasti negli infiniti annunci governativi e l’art.18 dello statuto dei lavoratori è sempre in vigore, così da ricordare al mondo che il capitalismo italiano è un qualcosa di diverso.

Dei diversi punti contenuti nella famosa lettera a doppia firma Trichet-Draghi inviata all’allora governo Berlusconi nell’estate del 2011 solo la riforma delle pensioni si è fatta realtà compiuta. Tutti gli altri suggerimenti sono restati nei cassetti ministeriali romani.

Ora, però, il tempo per i rinvii italiani sta per terminare. Alla Bce, dove gli umori degli investitori internazionali sono costantemente monitorati, il vero timore è la partenza di un attacco speculativo contro la palude italiana. Contro l’unica economia dell’eurozona impermeabile alle riforme e, contestualmente, politicamente più concentrata nella richiesta di impossibili deroghe ai trattati ( i primi a non volerle concedere, sono proprio i paesi che hanno dovuto farle causa crisi) o di socializzazioni di debiti pubblici tramite gli eurobond che nessun partito tedesco di governo si è mai sognato di sottoporre al voto per l’elezione del Bundestag lo scorso settembre.

Adesso la speculazione punta a Renzi. C’è un premier, reso forte dai voti ricevuti, attaccabile per verificare cosa si nasconda di fattuale dietro le slides. Il tempo guadagnabile dal premier sta per finire: o inizia a riformare per davvero oppure si ritroverà a ballare con lo spread. E stavolta nel mirino non ci sarà più l’euro, ma la sola permanenza o meno dell’ Italia nella moneta unica.


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