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70 anni dalla strage di Sant’Anna di Stazzema. Per non dimenticare

Sono passati settant’anni da quel 12 agosto 1944, quando i soldati della 16 SS-Panzergrenadier Division “Reichsfürer SS” del generale Max Simon, macchiarono la mia terra del sangue di 560 innocenti di cui 130 bambini. 

Anna Pardini aveva solo 20 giorni quando i nazisti fecero fuoco senza pietà contro di lei e la sua famiglia. Rimase mutilata, ma non morì subito. Il suo supplizio durò qualche tempo prima della morte.  Con lei, quel giorno, morì l’umanità dei suoi carnefici. Se mai c’era stata. L’innocenza violata, con una violenza inspiegabile e colma di odio.

Mia nonna ha quasi 85 anni, è nata e cresciuta a Pietrasanta. Aveva 15 anni quando i nazisti fecero le loro rappresaglie e si ricorda tutto in modo molto lucido. Quando passo del tempo con lei è come se osservassi un mondo che non c’è più. Mi siedo al tavolo della cucina, sopra di me c’è un orologio a muro che ticchetta stanco. Lei si siede sempre al lato destro del tavolo, ha gli occhi azzurri luminosi, purtroppo non ho preso il suo colore, i miei sono di un ordinario e banale marrone.  Il volto è segnato dal tempo, e ormai anche le gambe sono affaticate. Ma la mente è lucida, brillante e la voce chiara.

Le chiedo sempre di raccontarmi della sua gioventù, non so mai se faccio bene, nel farle rivivere momenti brutti, ma quando ne parla è come se si liberasse di un peso sull’anima. E dice, che lei era stata felice prima della guerra. Mi guarda con quello sguardo dolce e sofferente, di una vita che ha conosciuto, come dice lei, “troppe brutte cose“. Mi dice: “in vecchiaia m’aspettavo una vita più serena, invece…” soffre per le morti subite in guerra e subito dopo la guerra, alcuni fratelli piccoli e il padre.

Gli anziani sono soliti ricordare ogni evento del passato, e ne sentono la mancanza. Vivono la nostalgia, anche quando il ricordo ci parla di fatti tragici.  Mi racconta delle bombe, delle pattuglie di fascisti e nazisti prima e di nazisti poi, che minacciavano e uccidevano. Si ricorda bene quel 12 agosto, quando i tedeschi avevano dato fuoco alla zona, si ricorda una colonna “di fumo nero” che saliva da lontano. Scappava con gli altri giù per le “piane“. Racconta con minuzia di particolari, non so nemmeno io se il racconto è esattamente aderente alla realtà, o l’esito della ricostruzione della memoria, assieme a ciò che ha saputo poi nel tempo. Ma le sue parole sono sincere. E dure. Racconta la scena più orribile che ricorda, e lo fa come se fosse un evento archiviato, con un distacco che non comprendo, e mi scuote dentro.

Si scappava giù per le piane, i tedeschi avevano preso degli uomini, erano partigiani e sapevamo che non sarebbe andata bene” mi dice “noi si correva senza voltarci, poi ce li siamo trovati davanti, erano corpi impiccati col filo spinato” si ferma e stringe forte gli occhi “li conoscevo, abbiamo continuato a correre. Mentre si scappava ci vennero incontro alcune persone, ci chiedevano se avevamo visto i figli o cugini (non si ricorda bene) gli abbiamo detto di no e abbiamo continuato a correre dicendo di scappare che i tedeschi erano più sopra“.

Mia nonna mi guarda, calma e pensierosa e mi dice “li avevamo visti quelli che cercavano, erano quelli impiccati, non abbiamo avuto il coraggio di dirgli nulla“.

Questo è più o meno quello che mi ha raccontato l’ultima volta che sono stato a casa mia, in Versilia. Ogni volta che mi racconta un pezzo del passato mi chiedo come abbia fatto a sopravvivere a tutto quell’orrore, ad andare avanti fino ad oggi. E poi mi dico: con tutto quello che ha passato, la forza non le manca.

Mi racconta anche di suo nonno, allettato, che morì di fame sotto i bombardamenti. Degli attimi dopo la fine della guerra, quando le donne che erano state a letto coi tedeschi furono prese e rasate a zero e legate su un carro per lasciarle al pubblico disgusto. Dice che quella scena le ha dato fastidio più di tante altre e che non era stata una cosa giusta.

Ogni volta, specie dopo aver visto il telegiornale, mi dice “ma come si fa, con tutto quello che abbiamo passato” e continua “vi auguro di non vedere mai cosa è la guerra” e alza lo sguardo al cielo, si sistema il grembiule e inizia la sua routine: pulire la cucina, spazzare il pavimento e poi mettersi seduta, a guardare la tv, le sole “figure” dice, perché è quasi sorda, e anche con le cuffie fatica a sentire.

Perchè, vi domanderete, ho scritto questo pezzo di storia personale? Perché chiedo ogni volta che sono con mia nonna del passato e della guerra? Perché la turbo con questi ricordi? 

Nella mia terra la memoria è rinnovata ogni giorno. Alla scuola, come nella vita di tutti i giorni, la storia della resistenza al nazi-fascismo viene ricordata. Per me è fondamentale raccogliere la testimonianza di chi quell’orrore l’ha vissuto personalmente. Per me è un dovere non dimenticare e allo stesso tempo far sapere che per noi quella ferita non è rimarginata. Che non lasceremo scivolare nel dimenticatoio questa tragedia. Di generazione in generazione la storia è tramandata, anche se la portata emotiva è via via ridotta.  L’ultimo superstite di Sant’Anna di Stazzema, Enrico Pieri, che spero di incontrare non appena torno nelle mie zone, non si stanca mai di raccontare poiché sa che l’unico modo per impedire che questo accada di nuovo, è far sì che le persone sappiano oggi cosa è accaduto ieri. Il dolore che deve provare nel rivivere sempre questi ricordi, non lo riesco a immaginare, ma la sua testimonianza è l’unico modo, oggi, per fare giustizia e per onorare quelle vittime.

Ognuno di noi lo fa nel suo piccolo, come meglio può. Ogni anno, ma in ogni occasione in cui si parla della storia, cerco di parlare di Sant’Anna, perché quella è anche la mia storia. Vivo in Germania e ho avuto modo di parlare con amici tedeschi di questo orribile evento. A distanza di generazioni, queste persone soffrono, come noi, per quanto accaduto e cercano di essere partecipi di queste memorie. La lettera che Pieri ha ricevuto dal nipote di uno dei soldati delle SS è una prova di questa volontà di condividere dolore, memoria e responsabilità.  Sì, perché non dobbiamo dimenticarci del fascismo e di ciò che ha causato.  Italia e Germania condividono, purtroppo, un terribile passato.

Gli sforzi che abbiamo fatto nel tempo per superare le reciproche macchie e i rancori, devono essere per le generazioni nuove, attuali e future, di questo continente come per gli altri, un esempio di come la pace possa essere perseguita solo attraverso un comune sforzo, impegno e sincero senso di riscatto, da parte di tutti.

Settant’anni dalla strage di Sant’Anna, per non dimenticare cosa è accaduto su quelle montagne. Ma anche un modo per dare speranza e costruire il “camminare insieme” in una giusta direzione, su un percorso condiviso che è “pace”.



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