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Che fine farà Bredamenarini

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Giorgio Ponziano apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Nella terra dei motori, un tempo vanto del made in Italy, la bandiera tricolore è quasi ammainata. La blasonata Lamborghini è Audi-Volkswagen, così come dei tedeschi è il gioiello Ducati, le fabbriche delle moto Morini e Malaguti non ci sono più, è chiusa quella delle corriere granturismo Padane, lo stabilimento Maserati langue.

Resiste la Ferrari, anche se la Formula Uno è una débacle. Mentre su un pericoloso crinale è Bredamenarini, un tempo leader nella produzione di bus e autocorriere. I sindacati non hanno dubbi: senza che nessuno muova un dito, l’Italia sta rinunciando a produrre pullman e sarà obbligata ad acquistarli all’estero. Perciò da giorni presidiano lo stabilimento. Hanno appeso un grande striscione: «Non vogliamo morire cinesi».

Questa azienda, che batteva regolarmente i tedeschi sui mercati internazionali, finì negli anni 80 nel calderone parapubblico.  È nel 1987 che Breda Costruzioni Ferroviarie cede all’ente pubblico Efim il settore del trasporto su strada, appunto Bredamenarini. All’inizio degli anni 90, Efim viene liquidata e le partecipazioni trasferite a Finmeccanica, allora braccio operativo dell’Iri. Le logiche politiche, ebbero il sopravvento su quelle industriali. Risultato: un’agonia che per l’azienda di pullman, si è protratta di crisi in crisi e di promessa in promessa.

Un esempio da manuale di come si distrugge un fiore all’occhiello del made in Italy. Ovvero di come il capitalismo italiano non fosse (e non sia) in grado (salvo poche eccezioni) di internazionalizzarsi. Ma perché i 180 dipendenti della Bredamenarini (erano 800 negli anni d’oro) si sono perfino dipinti gli occhi a mandorla? Perché sta avanzando un piano che prevede di riunire nella società Iia, Industria italiana autobus, Bredamenarini (ceduta da Finmeccanica) e  Iris (ceduta da Fiat) e di venderla al colosso cinese King Long. Secondo i sindacati ai cinesi interessano i i marchi, non gli stabilimenti vetusti e quindi l’ingresso nella nuova società servirà solamente come testa di ponte per cercare di andare alla conquista dell’Europa, qui si farà al massimo qualche assemblaggio. Insomma, pullman tricolori addio.

A suffragare questa tesi vi sarebbe quanto avvenuto nel napoletano. A vincere l’appalto per 40 nuovi autobus che faranno la spola lungo la costiera amalfitana sono stati proprio i cinesi di King Long, un affare da 10 milioni di euro. Ci si aspettava che si appoggiassero a Iris o Bredamenarini, invece hanno costruito in casa e caricato i bus sulla nave, recapitandoli a Napoli. Il bello è che a caldeggiare la creazione di un polo italiano dell’autobus era stata proprio la Fiom-Cgil.

Il polo sta arrivando, peccato che finirà in mani straniere. Il segretario regionale Fiom è un ex-dipendente della Bredamenarini, Bruno Papignani, e ora guida la rivolta. Se proprio devono entrare i cinesi, dice, che almeno Finmeccanica rimanga col 40%, una garanzia affinché si continui a produrre qui (invece Finmeccanica non vuole andare oltre un simbolico 10%). «I piani industriali presentati fino a ora», dice Papignani, «non sono sufficienti a salvare le due realtà, Bredamenarini e Iris. E questo mentre il governo ha stanziato 300 milioni per il rinnovo dei mezzi da parte delle aziende di trasporto. Che facciamo? Diamo questi 300 milioni, e tanti altri, agli stranieri»? Gli fa eco il sindaco di Bologna, Virginio Merola: «Avevamo chiesto al governo di lavorare per la costituzione di un polo del trasporto pubblico che salvaguardasse le capacità produttive, invece le notizie che ci arrivano dicono che Bologna verrebbe di fatto azzerata».

Ma anche all’Iris (stabilimento in Valle Ufita, provincia di Avellino, 300 dipendenti, erano 1400) sono preoccupati. Dice Mario Melchionna della Cisl:«Occorre maggior protagonismo da parte del governo. I ministeri non possono limitarsi a fare gli osservatori: si impegnino a trovare la quadra tra le parti».

L’Iris nacque nel gennaio 1999 dal matrimonio tra Fiat Iveco e Renault nella produzione di autobus. L’alleanza non funzionò, la Fiat nel 2003 rilevò l’azienda e ora i dipendenti sono in cassa integrazione. Giancarlo Giordano è un parlamentare avellinese di Sel:«La mancanza di interventi nel settore della produzione di autobus ha portato alla progressiva cancellazione di numerosi stabilimenti e rischia di determinare la scomparsa della produzione di autobus dal territorio nazionale: le vicende degli stabilimenti Iris e BredaMenarini rappresentano, di fatto, per il nostro Paese un evento di eccezionale gravità».

La spending review ha bloccato gli investimenti dei comuni nel trasporto pubblico. Ma vi è da aggiungere che in Italia i costi delle aziende ex-municipalizzate di trasporto sono coperti per il 73% da finanziamenti pubblici mentre la Francia, che ci segue in questa classifica, è al 50% e l’Inghilterra addirittura al 20%. Altri dati li fornisce l’ex-sottosegretario ai Trasporti, Erasmo de Angelis (Pd): «Stanno circolando circa 51 mila 400 autobus, con un’età media  di 11,6 anni,  a fronte dell’età media europea di 7 anni , inoltre più della metà del nostro parco mezzi è fuori legge rispetto alle  norme europee per le emissioni».

King Long Italia è una costola della multinazionale cinese degli autobus, è partecipata dalla Finsita Holding di Luciano Vinella. L’amministratore delegato di King Long Italia (controlla già il 5% del mercato italiano degli autobus da turismo) è Stefano Del Rosso, che promette il potenziamento in senso produttivo della newco e quindi rigetta le preoccupazioni sindacali: «Vorrei poter dire che è tutto ok e che è arrivato il momento di lavorare e invece siamo di fronte ai soliti bla bla bla. Ma il tempo è denaro: abbiamo lasciato ai nostri concorrenti gare per complessivi 380 autobus. Fossimo stati pronti avremmo concorso».

Agli appelli risponde il ministro Federica Guidi che conosce bene di che si tratta poichè il gruppo di famiglia (Ducati Energia) due anni fa trattò l’acquisto della Bredamenarini, poi non se ne fece nulla: «Stiamo supportando con convinzione il progetto dell’Industria italiana autobus», dice, «che ha l’ambizione di difendere l’italianità di alcuni marchi storici  e l’occupazione».  Ma le quote di mercato evaporano come neve al sole: a Milano nei giorni scorsi l’Atm ha commissionato l’acquisto di 85 autobus, per rafforzare la sua flotta di mezzi in vista dell’Expo 2015, all’azienda polacca Solaris. Con Iris e Bredamenarini che hanno le linee di montaggio mestamente vuote.

@gponziano

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