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Breve riflessione anti-annacquamento

Watering Down, annacquamento. E’ una sensazione che – con la massima umiltà e apertura mentale – si rileva in maniera sempre più marcata, rispetto a una tendenza generale corrente che privilegia la “conoscenza superficiale”, il “sapere come” a discapito del “sapere perché”.

Si parte sempre dal presupposto che tutte le opinioni abbiano valore, e che quanto più sono politicamente corrette oppure idealmente scorrette (perché “rivoluzionarie”, progressiste, contro l'”ordine delle cose” in nome di nuove libertà senza se e senza ma), tanto più sono cool, sono sexy, sono mediatiche e attrattive, sono gradite alla cd. “opinione pubblica”. Piacciono ai teppistelli che bruciano i cassonetti, così come a certi professori universitari figli del 68’ che pontificano pasteggiando a radicchio e prosecco.

La conquista di tante libertà ha rappresentato un fatto in sé positivo, in principio, questo è fuori discussione. Ma si riscontra anche, inevitabilmente, che la gestione del processo di conquista di dette libertà ha tuttavia condotto la società a enfatizzare la pressione per la richiesta di nuovi diritti, rifiutando in toto l’assunzione dei doveri corrispondenti (lo spiega molto bene, tra gli altri, il Prof. Sergio Belardinelli). In questo contesto, è venuta a mancare l’elaborazione di un pensiero davvero rivoluzionario, che generasse un confronto di alto livello nell’ambito della tradizione occidentale. Al contrario, in antitesi ad un pensiero dominante francamente debole e mellifluo, hanno potuto opporsi piccole elìte, clusters di idee forti che hanno salvaguardato e continuano a salvaguardare idee e valori che sono nel cuore dell’uomo.

Ma l’annacquamento è persistente, e lo notiamo dappertutto.

Già, perché non deve esistere una verità, bensì la verità di ciascuno, e se ci si azzarda a richiamare a valori insiti nella natura dell’uomo, si viene tacciati di vetero-conservatorismo o di essere reazionari o retrogradi. Prendiamo il contenitore di idee “TED Talks”. Strumento intrigante, di fatto rappresenta uno speaker corner ovvero un canale di comunicazione e divulgazione. Ma l’utilità reale e la sua intellegibilità non sono chiarissimi. Mi pare cioè più una creatura senza capo né coda, utile forse per chi vuole annusare un argomento in superficie, oppure per chi desidera ostentare con un pizzico di autoreferenzialità un’idea originale perché supportato da un phd preso nell’università XY, ma guarda a caso è sempre un’idea che confluisce nel mainstream del pensiero dominante (ecologista, anti global warming, progressista quanto basta e politicamente correttissima). Ed ecco che il successo è garantito, e diventa un’idea appetibile al mercato, rivendibile e quindi rilevante. E via con i retweet, con le citazioni spasmodiche, con la divulgazione e il passaparola. Nulla di male, nulla di dannoso (spero). Ma mi chiedo: dov’è l’elaborazione di un pensiero?

L’annacquamento imperterrito lo osserviamo anche nella politica, dove il processo è di schiacciante impatto (l’Ariete docet), e lo osserviamo da decenni nella cultura, nell’arte. Prendiamo l’arte moderna ed il recente caso dell’opera pedopornografica esposta al Maxxi: chissà se la Dr. ssa Melandri ne sa qualcosa. Se è vero che l’arte riflette le idee ed il pensiero del proprio tempo, allora mi spiego molte cose sull’arte contemporanea. Ma dov’è, in essa, il senso del bello? E’ stato soggettivizzato e relativizzato anche quello, in nome di una libertà che non rispetta l’ordine delle cose. Ma guai a dire queste cose in pubblico, risulteresti antico, rigidamente seduto su schemi obsoleti e medievale.

E pensare che nel lontano 1963, nel film “La Rabbia”, Guareschi e Pasolini avevano previsto questa “discesa”. Ma proprio perché non erano nel mainstream, sono rimasti inascoltati.



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