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Caro Renzi, la rondine del nuovo Senato non fa primavera

Questo articolo è stato pubblicato su L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi

Non è una riforma che cambia il mondo, anche se manda in archivio il vecchio bicameralismo perfetto del potere legislativo. Non è una riforma che entra in vigore subito perché, trattandosi di modifica costituzionale, dovrà andare avanti e indietro, e a lungo, fra Camera e Senato. Inoltre è una riforma che si presta a molte critiche, alcune fondatissime, perché la novità che sorgerà dalle rovine di palazzo Madama, somiglia più a un ripiego regionalista, che non a un ammodernamento istituzionale della Repubblica. Ma pur con molti, solidi e trasversali “mah”, da ieri la prima e più complicata promessa di Matteo Renzi è stata mantenuta: onorevoli senatori, si cambia.

Essi diventeranno un terzo degli attuali, avranno funzioni diverse, non prenderanno un euro di stipendio e soprattutto non rifaranno quel che già faranno i deputati. E’ da trent’anni (prima commissione-Bozzi) che il Parlamento prova, invano, a rinnovare la Costituzione. E le uniche due volte che c’è riuscito, in un caso la sua riforma è stata bocciata dal popolo sovrano con referendum. Nell’altro ha creato un pasticcio di competenze fra Stato ed enti locali all’origine dell’urgente e necessaria riforma che ieri ha mosso il suo primo passo. A buon diritto, il presidente del Consiglio può dunque rivendicare di aver osato con successo quel “nuovo inizio” che ha visto fallire una Bicamerale dietro l’altra e una maggioranza dopo l’altra.

Ma dato a Matteo quel che è di Matteo, cioè la partenza di una riforma dal traguardo ancora lontano, restano all’orizzonte, e più vicine, altre priorità che meriterebbero la stessa dedizione. La “recessione tecnica” appena indicata dall’Istat e il monito di Mario Draghi che sferza l’Italia ad usare nei confronti dell’economia la stessa caparbietà che Renzi e il governo hanno dimostrato per rinnovare le istituzioni, stanno lì a testimoniarlo: non basta la rondine del Senato che fa harakiri, per annunciare che è arrivata primavera. Ben altre e più corpose riforme aspettano i cittadini per cose che più li riguardano e coinvolgono, e che passano tutte dal rilancio dell’economia.

Sapere che i cento senatori di domani non prenderanno una lira dalle nostre tasche consola poco, se l’Italia in cui viviamo nel frattempo non consuma, non produce, non esporta, non lavora nei termini in cui sarebbe fondamentale per stare al passo con gli altri e già ripartiti Paesi europei, e per infondere fiducia, che è il bene più prezioso. La riforma dell’economia che sarà, vale di più della riforma del Senato che fu.

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