Il terrorismo internazionale è un fenomeno complesso che rappresenta un grave pericolo per le comunità organizzate, in quanto, pregiudicando il senso di sicurezza dei loro membri, tende ad alterare il regolare svolgimento della vita sociale, economica, politica e istituzionale. È, quindi, interesse di dette comunità, disporre di efficaci strumenti di contrasto che siano idonei a prevenire il verificarsi di un attacco terroristico nel proprio territorio. È necessario sottolineare che l’utilizzo del termine “prevenire” non è casuale. Infatti, alla base di un’efficace lotta al terrorismo, sta soprattutto una valida attività di prevenzione, la quale, se articolata su più fronti e coordinata a diversi livelli, può risultare vincente o, comunque, dare ottimi risultati.
L’ATTIVITA’ PREVENTIVA
Scopo di tale attività preventiva dovrebbe essere quella di sottrarre “linfa vitale” al fenomeno, ossia colpire e neutralizzare i diversi fattori che lo determinano e che lo alimentano. L’escalation del terrorismo fondamentalista islamico degli ultimi anni ha fatto entrare questo fenomeno nelle agende politiche e di difesa di Stati e organizzazioni multilaterali. L’attenzione si è concentrata su due aspetti centrali di tale fenomeno: in primo luogo, il fatto che esso possa colpire chiunque, in qualunque momento e in qualsiasi spazio e, in secondo luogo, il rischio posto in essere dai terroristi homegrown o di seconda generazione. In particolar modo, nel corso degli anni è apparsa evidente la minaccia rappresentata da individui in grado di agire autonomamente, capaci cioè di auto-radicalizzarsi e auto-addestrarsi da soli o in piccoli gruppi.
TERRORISMO FAI-DA-TE
L’ispirazione di questa forma di terrorismo si può trovare nelle parole dell’ideologo di al Qaeda Abu Musab al Suri, secondo cui “al Qaeda non […] rappresenta il vertice della rete jihadista globale ma è piuttosto l’appello, rivolto a tutti i musulmani nel mondo, ad intraprendere il jihad […]”, e nelle parole del portavoce qaedista Azzam al Amriki che, pochi giorni dopo la nota missione dei Navy Seals ad Abbottabad, in un filmato diffuso su Internet intitolato “Responsabile solo di se stesso”, ribadiva la chiamata a un terrorismo fai-da-te, in grado di superare più facilmente le misure di sicurezza intorno ai grandi della Terra. In effetti questi estremisti, definiti anche lone terrorist, appaiono svincolati da contesti organizzativi di portata internazionale, vivono spesso in condizioni di disagio sociale e di precario equilibrio psichico e si avviano al jihad apprendendo le tecniche operative sul web. Rientra in questa categoria la vicenda del cittadino libico Mohammed Game, il cui tentativo – fortunatamente riuscito solo in parte – di far esplodere un ordigno artigianale dinanzi alla caserma Santa Barbara di Milano nel 2009, ha posto all’attenzione di tutti la crescente pericolosità e l’imprevedibilità del terrorismo jihadista homegrown, una minaccia giunta in Italia con qualche anno di ritardo rispetto ad altri Paesi europei.
FOCALIZZARE L’ATTENZIONE SULLE TRE “I”
Tra le conseguenze principali di un simile approccio, vi è l’evidente maggiore imprevedibilità delle azioni terroristiche e la conseguente enorme difficoltà, per gli apparati di sicurezza, di individuare e rendere non operativi singoli o piccoli gruppi in grado di attivarsi senza alcun preavviso. Per questo motivo, è mia opinione che l’attenzione andrebbe focalizzata sulle “tre i”: Internet, il quale riveste un ruolo fondamentale nel processo di auto-radicalizzazione e rappresenta spesso la principale (se non unica) piattaforma operativa dei lone actor; immigrazione (irregolare), poiché – lungi dal voler compiere semplicistiche equazioni tra flussi migratori e terrorismo – è innegabile il pericolo di in-controllate infiltrazioni estremistiche all’interno della massa di migranti, soprattutto alla luce dei recenti sconvolgimenti socio-politici che hanno coinvolto molti degli Stati nordafricani, che con cadenza quasi quotidiana giunge sulle nostre coste; integrazione, indispensabile al fine di costruire intese sincere tra due culture antiche e ricche, seppur radicate su dogmi diversi.
LA COOPERAZIONE
A prescindere dalle forme con cui viene posto in essere, il terrorismo rimane un fenomeno internazionale e, per questo motivo, la cooperazione fra Stati riveste un ruolo fondamentale, soprattutto in materia di condivisione di informazioni e best practice. In qualità di esperto giuridico presso le Nazioni unite a Vienna e l’Unione europea a Bruxelles e, successivamente, come responsabile dell’Ufficio per il coordinamento dell’attività internazionale del ministero della Giustizia, in più di un’occasione ho avuto modo di confrontarmi con colleghi stranieri sulla pericolosità della minaccia terroristica e sulla necessaria e imprescindibile risposta coesa e unitaria che deve giungere da parte della Comunità internazionale. Per quanto riguarda l’Italia, le strategie adottate dalle competenti autorità investigative e informative sono di primissimo livello, come ad esempio quelle del “Progetto jweb” dell’Arma dei Carabinieri, e del Comitato di analisi strategica anti-terrorismo (C.a.s.a.). Soprattutto, è opportuno riconoscere che il merito più grande nel contrasto al terrorismo è di tutti quei fedeli servitori dello Stato che, con un lavoro quotidiano e silenzioso, rendono la nostra società più sicura e, quindi, più libera.
di Stefano Dambruoso, Questore della Camera dei deputati
Articolo pubblicato sul numero di luglio della rivista Formiche