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Cosa conta adesso per Matteo Renzi

Questo articolo è stato pubblicato sulla Gazzetta di Parma

Il conto alla rovescia è cominciato e il gioco si fa duro. In vista dell’8 agosto, il traguardo immaginato per l’eutanasia del Senato, chi non ci sta ora minaccia il tutto per il tutto contro il disegno di legge che a palazzo Madama archivierà il bicameralismo perfetto. Ma per lasciare il posto a che cosa, e in quanto tempo -trattandosi di modifica costituzionale-, in realtà ancora nessuno lo sa.

La riforma più importante, ma inafferrabile della Repubblica, che pur ne cambierà l’ordinamento istituzionale alla radice, viaggia, allora, tra mole di voti a raffica ed emendamenti inutili. Di poco fantasiosi insulti (“è una porcata”, tuonano i Cinque Stelle). Di diserzione dei lavori in aula per protesta. Ma anche di tanti e forti mal di pancia sofferti perfino tra i senatori della maggioranza proponente e marciante. Ormai l’imbarazzante e pasticciato contenuto del nuovo Senato che sorgerà dal vecchio, una sorta di mastodontico Consiglio regionale allargato e non eletto quale incredibile omaggio ai pessimi risultati finora ottenuti dalle Regioni, è passato in second’ordine.

Quel che adesso conta per Matteo Renzi e per il governo, che su questa riforma hanno scommesso buona parte della loro credibilità, è seppellire in fretta la Camera alta caduta in basso. Dunque, è una “maratona per la vita” quella che il presidente del Consiglio e il suo esecutivo stanno correndo in queste ore. Essi devono poter presto affermare che, dopo trent’anni di parole e svariate Bicamerali all’opera, la “grande riforma” l’hanno finalmente portata a casa, loro.

Ma, come succede quando a parlare è la politica, il decisionismo costituzionale è soltanto una parte della verità. Vero è che i cittadini sono stufi di una procedura legislativa anacronistica (le due Camere che fanno e si rimpallano le stesse cose come a ping-pong), e di una casta pagata a peso d’oro, e di privilegi di pochi subìti da tutti.

Ma l’8 agosto il Senato chiuderà solo per ferie. La vittoria di Renzi rischia di diventare l’ennesima vittoria di Pirro della politica nazionale non solo perché il ping-pong è necessario anche per abolire il ping-pong (e alla Camera già s’odono squilli di guerra, o almeno di tamburo), ma soprattutto perché nessuna riforma può riformare qualcosa in un’economia che stenta a ripartire. Dire agli italiani che i futuri cento senatori saranno senza stipendio in un Paese che non consuma, che mal compete, che lavora sempre meno, né vede risolto uno solo dei suoi atavici problemi, significa non avere il senso del contentino offerto. Il senso fra l’urgente e necessario (rilanciare l’economia) e un maquillage istituzionale per addetti ai lavori. Come la già vista e fantasmagorica “abolizione delle Province”, che si è tramutata in un elefantiaco e costoso rinnovo di funzioni e di nomi (“città metropolitane”, et voilà), in barba all’abolizione proclamata.

Poi arriverà anche la legge elettorale con tanto di incontro Renzi-Berlusconi. E il lavoro, l’economia, la produzione? Non adesso, per carità. “Odio l’estate”, si cantava un tempo, e si canta ancora.

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