Pubblichiamo grazie al gruppo Class Editori l’articolo di Marco Cobianchi uscito sul quotidiano Italia Oggi
Caro direttore,
anche quest’anno mi hai chiesto di scriverti delle lettere dal Meeting di Cl di Rimini. Lo faccio volentieri perché è divertente cercare inutilmente di spiegarti che cosa succede qua. Nei prossimi giorni ti parlerò della miriade di politici che hanno parlato e parleranno (non credere a quelli che dicono che non ci sono, ci sono eccome, questo è il problema) ma quest’anno il personaggio principale è uno che è morto 100 anni fa: Charles Peguy.
Ti premetto che io non leggo romanzi e la poesia mi annoia. A me piacciono solo i saggi ma, per Peguy, ho fatto un’eccezione: ho letto un po’ di cose, ma soprattutto ho letto “La nostra giovinezza” che è una cosa a metà tra poesia, romanzo (autobiografico) e saggio storico-politico. Allora: Peguy era un socialista che amava il Papa, un pacifista morto in guerra, un cattolico escluso dai sacramenti. Per quanto mi riguarda, semplicemente un mito.
E pensa che oggi basta farsi un tatuaggio in quel posto per pretendere di essere considerati anticonformisti. Per essere anticonformisti bisogna essere colti abbastanza per riconoscere il conformismo. Gli ignoranti anticonformisti si chiamano “coatti”. Scusa se divago, torniamo a noi. Peguy era odiato da tutti e i pochi che oggi lo amano ci sono i ciellini senza i quali Peguy sarebbe uno sconosciuto in Italia. Non lo dico io, lo dice Giaime Rodano nella prefazione dell’edizione di “Nostra giovinezza” pubblicata nel 1993 da Editori Riuniti, la più comunista delle case editrici italiane, escluse le Paoline.
Per fartela breve, Peguy è il Pasolini francese ma non era gay, e magari sarà per questo che non se lo fila nessuno. Poteva mancare al Meeting? No, e infatti c’è. Non ti sto a dire della mostra che gli hanno dedicato perché non riuscirei a rendere l’idea. Però una cosa te la voglio dire: ti vorrei spiegare perché adoro totalmente, incondizionatamente, perdutamente Charles Peguy.
Peguy è stato un uomo che non si è mai risparmiato, ha dato sempre tutto senza trattenere nulla per sé. A leggerlo si capisce che non poteva fare altro che consegnarsi completamente al proprio destino. Parlare di “destino” nel 2014 sembra da trogloditi, ma Peguy era così: odiava i borghesi e, siccome non lo era, non ha mai risparmiato un centesimo, era sempre in bolletta, lui e la sua famiglia, odiava la chiesa dei ricchi ma anche il socialismo da salotto, ha combattuto una buona battaglia schierandosi, contro tutte le proprie convenienze, a favore di Dreyfus.
Gli sarebbe bastato alzare il ditino accusatore per avere fama, onori, soldi. Non lo ha fatto perché sapeva che Dreyfus era innocente e, per solo, semplice, innocente amore per la verità, ha rinunciato a tutto per difenderlo. Pensa agli intellettuali cacasotto che abbiamo oggi e capisci molte cose. A me piace immaginare Peguy mentre corre, sudato, mai arrivato, sempre in movimento. Leggi “Nostra giovinezza” e vedrai se non è questa la sensazione che ti prende e ti fa chiedere: perché Peguy non era mai stanco?
Provo a risponderti così. Sai come gli inventori del capitalismo, i commercianti fiorentini del 1300 (salutami Weber) si facevano pagare per le loro merci? Un produttore vendeva della lana a un cliente che abitava in una città lontanissima: per concludere l’affare (spedizione della lana e ricevimento dei soldi) avrebbe dovuto attendere mesi se non addirittura anni e allora s’inventarono un nuovo sistema. Il venditore andava da un banchiere e apriva un conto a nome del compratore nel quale iscriveva un debito pari al prezzo della merce che gli aveva già spedito.
Il banchiere emetteva una specie di assegno che il venditore poteva subito spendere.
Il mio Peguy è uno che ha ricevuto una merce preziosissima, sa che da qualche parte ha un debito con Chi gliel’ha data e si dà da fare come un pazzo per ripagarlo. Non ti senti a volte anche tu come uno che deve ancora saldare il conto con la vita? Io sì.