Quando si tratta di analizzare una crisi e si cercano di prevedere eventuali sviluppi, è fondamentale conoscere il territorio, la cultura, la popolazione di cui si parla. Le improvvisazioni hanno poco valore.
Inviato di guerra in Africa, Medio Oriente e Balcani per più di 35 anni, Alberto Negri segue la situazione in Libia per Il Sole 24 Ore e non è ottimista. Proprio perché la Libia la conosce. Il caos in cui è ripiombato il Paese nelle ultime settimane era prevedibile ed è una conseguenza diretta della sconfitta dei Fratelli Musulmani nelle elezioni legislative del 25 giugno. Ma cosa fare per contribuire a rimettere ordine? Quali sono stati gli errori commessi in passato e come si può evitare di ripeterli?
L’IPOTESI DI UN NUOVO INTERVENTO
Respingendo analisi fatte a distanza da “esperti” che in Libia non ci hanno mai messo piede, Negri sostiene che l’ipotesi di un nuovo intervento militare è remota. In un’intervista a Formiche.net ha ricordato che durante le operazioni del 2011 contro il regime di Muammar Gheddafi, la partecipazione delle Nazioni Unite è stata successiva ai primi bombardamenti della Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti. E in seduta plenaria si è riscontrato il veto della Russia. Un ostacolo che potrebbe riproporsi anche oggi.
E la Nato o l’Unione europea? Potrebbero intervenire? “Per il momento sono impegnati in altri focus critici, come ad esempio l’Ucraina. Ora non ci sono le condizioni per un intervento internazionale. Bisogna ricordare che in questo senso non sono state sentite le richieste dell’Italia di politiche di allargamento rispetto alla Libia”, ha detto Negri.
GLI ERRORI DEL PASSATO
Durante l’intervento militare del 2011 Negri era in Libia. Sotto i bombardamenti. Lì ha capito che l’azione – e le missioni dei mesi successivi – sono stati decisivi per i ribelli di Bengasi. Senza non ne sarebbero usciti vivi. “L’errore è evidente e si ripete: i bombardamenti dall’alto non cambiano la situazione e difficilmente determinano gli equilibri a terra. Quando si rade al suolo un sistema bisogna avere pronto un processo alternativo. Quando crolla un tiranno si sgretolano con lui strutture e istituzioni”, ha spiegato Negri.
UN PAESE DIVERSO
Durante gli anni di Gheddafi l’esercito si è indebolito e lo Stato è diventato un’emanazione del dittatore. La sicurezza era affidata alle milizie e sono scomparsi partiti, movimenti, istituzioni, classe dirigente e intellettuale. Così, una volta caduto Gheddafi, le fratture all’interno del popolo libico sono venute a galla. “Sono riemerse frammentazioni geografiche e localismi – secondo Negri – e strutture tribali, di clan e parentelismi che fanno riferimento ai capi. Oltre alle questioni islamiche”. In questo quadro è difficile imporre una transizione democratica concepita nei Paesi occidentali.
DEMOCRAZIA PER TUTTI?
Negri considera Khalifa Haftar un personaggio controverso: “Si tratta di un generale che combatte una guerra personale contro le milizie in Libia. Se vince, non sarà lo Stato libico ad uscirne vittorioso ma lui contro le milizie islamiche. Se invece perde la situazione peggiorerà perché ne usciranno fortificate”. In Libia non c’è l’interesse reale di ricompattare l’esercito per renderlo capace di riportare l’ordine nel Paese.
Sui parallelismi con l’egiziano Abd al-Fattah al-Sisi, Negri crede che l’unico tratto in comune è che si tratta di due generali. “Al-Sisi viene dalle forze armate egiziane, che sono molto forti. E conta sul sostegno popolare ed elettorale. Haftar non appartiene alla Libia, viene da 20 anni all’ombra degli americani e non è sostenuto dai libici, non è stato scelto da nessuno”, ha detto.
MANOVRE FALLIMENTARI
Sulla Libia, più che “cosa dovrebbe fare l’Europa” sarebbe il caso di ripensare a “cosa non avrebbero dovuto fare”. Secondo Negri, Francia e Regno Unito hanno fatto molto con l’intervento militare e in seguito troppo poco. Non hanno accompagnato i libici nel processo di transizione, avendo chiare responsabilità non si sono fatti carico delle conseguenze e hanno cercato di prendere vantaggio economico e politico nella Libia post-Gheddafi: “L’Europa che contava ha fatto troppo e dopo molto poco. Le manovre successive sono state fallimentari, come dimostra la situazione attuale”.