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Governo Renzi, esecutivo di puffi o nuova classe dirigente?

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, pubblichiamo l’editoriale di Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi e Mf/Milano Finanza

Ho due amici carissimi. Uno è un ex grand commis di Stato. L’altro è un ex politico di grande spesso culturale. Sono due persone di prim’ordine, da poco ultrasettantenni. Gente di grande esperienza ed equilibrio. Punti di riferimento assoluti, anche per me. Ma, di fronte al governo Renzi, entrambi hanno sbarellato la catena, come dicono i ciclisti. Non criticano soltanto il governo in carica (ci mancherebbe altro che non lo facessero; il materiale per criticare il governo Renzi è, come nelle mense delle caserme di un tempo, sano e soprattutto abbondante). Ma, invece di incalzare il governo con i robusti argomenti che essi hanno nel loro carniere professionale, preferiscono inveire contro di esso. Il primo, parlando dei ministri attuali, dice ripetutamente, come se fosse un mantra, che essi hanno “la bocca ancora sporca di Nutella”. Il secondo invece li descrive, sempre con altrettanto inquietante insistenza, come dei Puffi dei cartoni animati.

Mi spiace per i due miei amici, ma le invettive non portano lontano e soprattutto non testimoniano il loro rilevante spessore culturale di cui il Paese avrebbe più che mai bisogno. Mi viene di pensare che la loro reazione sia di tipo generazionale. Sono cioè arrabbiati perché, per la prima volta in questo dopoguerra, ha preso il potere politico una generazione non cooptata ma che, in forza della sua proposta, si è imposta politicamente sulle generazioni precedenti (compresa la loro).

Certo, molti ministri di questo governo sarebbe bene che fossero mandati a casa al più presto possibile perché sono largamente inidonei (e, fra queste, mi spiace dirlo, molto donne, non in quanto donne ma perché sono state scelte male; ma non certo la Boschi, ad esempio). Altri ministri invece dimostrano di sapersi muovere con grande abilità in un clima economico, politico e sociale che non è certo dei migliori.

Che significato ha, ad esempio, definire il ministro Delrio, braccio destro di Renzi nel governo, come un “medico endocrinologo”, usando questa sua qualifica professionale come se essa fosse una clava? Delrio è, non c’è dubbio, un medico endocrinologo (qualifica, certo, che, fino a prova contraria, non è un’offesa) ma è anche un politico di grande spessore ed esperienza che ha già dimostrato la sua caratura di politico come sindaco di Reggio Emilia, una città, questa, che, sotto la sua guida, da capoluogo scolorito, stretto a sandwich fra Parma e Modena, è diventato il pivot dell’Emilia occidentale, soppiantando, in molto settori, le due province contigue ed un tempo arroganti.

Oppure, agendo politicamente sulla sua qualifica di medico endocrinologo, si vuol dire che nei posti di governo ci vorrebbero solo dei tecnici specifici? Come se non fossero sotto gli occhi di tutti i guasti combinati da tecnici che si diceva che “tutti nel mondo ci invidiavano” e che invece hanno inferto al paese il colpo definitivo. Un politico-tecnico è il peggio che si possa avere. Il politico deve essere in grado di avvalersi di tecnici adeguati. Ma è lui, il politico, lo specialista nel trovare il consenso al cambiamenti (senza il quale non c’è democrazia) e nel tenere la barra dritta per realizzarli, prima in termini di legge e poi di execution.

La classe dirigente anti-Puffi ha subito stappato champagne dandosi di gomito (e i media si sono subito ad essa appecoronati entusiasticamente) perché la Ragioneria generale dello Stato ha bocciato un provvedimento come quello del prepensionamento dei 4 mila insegnanti che anch’io reputo inopportuno anche perché si caratterizza come un primo (anche se economicamente modesto) varco nella riforma previdenziale Fornero che è l’unica cosa buona fatta dal governo Monti.

Gli anti-puffi però hanno subito spiegato che, senza il provvidenziale intervento degli iper-tecnici della Ragioneria generale dello Stato (gente, pare di capire, che non mangia più la Nutella da almeno mezzo secolo) si sarebbe, con questo provvedimento, sfondato il bilancio dello Stato. Ma che cosa ha fatto, la Ragioneria generale dello Stato, per impedire, anche nel recente passato, che l’indebitamento pubblico finisse per superare i duemila miliardi di euro? Eppure, da ben 64 anni (e non con il solo più recente Fiscal Compact) esiste un preciso articolo, l’81 della Costituzione, che prevede espressamente che non si possa dar corso a nuove spese pubbliche se esse non sono espressamente coperte da corrispettive entrate. In tutti questi anni che cosa ha fatto la Ragioneria generale dello stato per contrastare questa deriva che oggi è diventata un nodo scorsoio per l’intero Paese? Eppure, negli ultimi trent’anni,non c’erano i Puffi al governo. Forse, ma posso sbagliarmi, essi invece si erano annidati nella Ragioneria generale dello Stato.


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