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Il Cristianesimo “antifragile”: funziona sempre

 

Nassim Nicholas Taleb – pensatore e trader di successo, autore del bestseller “Il cigno nero”, in cui parlava magistralmente delle variabili di apparente casualità e di irregolarità, in ogni caso, della realtà, come vedere un cigno nero – ha scritto un altro saggio di spessore, dal suggestivo titolo: “Antifragile”.

Cosa vuol dire “antifragile”? Diciamo subito cosa non voglia dire: non si tratta né di resilienza, cioè di resistenza sotto stress, né di forza intrinseca alla volontà umana o alla realtà. E’ un’altra cosa, a mio avviso molto più interessante e utile: è tutto ciò che, sotto stress e violente pressioni della realtà, migliora.

Mi sono subito detto: ma questa è la più geniale e irregolare definizione – un vero “cigno nero” – di Cristianesimo e Cristianità che sia mai stata data.

“Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani”, affermava Tertulliano nel II° sec. d.C.

Tradotto brutalmente: più ne accoppano, più si rafforzano le radici. Controintuitivo al massimo. E’ il mistero del martirio, che ha segnato la Chiesa fin dagli albori e che oggi ritorna prepotentemente, a causa della diabolica ferocia dei tagliagole dell’Isis, la famigerata cricca pro califfato sunnita e diciamo pure salafita-jihadista (tagliagole al cubo, per intendersi).

Il Cristianesimo prospera nella crisi più nera. Taleb dice che si può prosperare dal basso e proprio attraverso tonnellate di stress che ti arrivano addosso. Non c’è bisogno di fare paragoni o esempi con quanto sta accadendo ai cristiani in Siria e Iraq.

Questo è uno schema di lettura che funziona e che aiuta a capire le ragioni di quanto accadrà in quelle terre: prospererà, dopo la tempesta perfetta della ferocia jihadista, la verità del Cristianesimo, la sua carica di amore generativo e la sua apertura ad ogni cuore libero.

Ma domandiamoci: e in Occidente? In Europa, soprattutto?

Padre Gheddo, missionario del Pime di grande valore e con una testa che sembra un laser tanto è lucida, ci aiuta molto a porre le domande giuste, anzi addirittura a trovare qualche buona risposta.

In un articolo pubblicato sul sito di Asia News (http://www.asianews.it/notizie-it/LOccidente-torni-a-Cristo-se-vuole-sconfiggere-il-terrore-del-Califfato-31993.html) afferma, senza giri di parole:

“Da quando il nascente Isis (Califfato islamico del Levante e dell’Oriente) ha conquistato in Siria e Iraq una vasta base territoriale – affermandosi con violenze orrende e demoniache contro chi non si converte all’islam sunnita, costringendo Stati Uniti e alcuni Paesi europei ad intervenire – pare che l’opinione pubblica occidentale abbia preso coscienza di quanto odio animi quei fantasmi da incubo che sventolano una bandiera nera. Odio non solo anti-cristiano, ma contro l’Occidente e il nostro modo di vivere, che essi vedono come nemico mortale dell’islam perché distrugge i fondamenti della religione coranica: sviluppo economico-liberale e benessere, democrazia e diritti dell’uomo e della donna, scienze e tecniche, alfabetizzazione universale, libertà di stampa e di costumi, ecc. La civiltà islamica è fondata sull’obbedienza a Dio (naturalmente il Dio dell’islam), quella occidentale sull’uomo che si costruisce il futuro con la sua ragione, la sua libertà, i suoi diritti. La nostra civiltà, che ha profonde radici cristiane, crede di poter fare a meno di Dio. Islam vuol dire dipendenza da Dio, ,mentre Occidente significa (per quei popoli) sviluppo umano senza Dio: laicismo, ateismo pratico, “morale laica” (cioè, la “morale fai da te”, il primato assoluto della coscienza individuale che ignora Dio e Gesù Cristo, ecc)”.

Sembra di leggere il mio amico Baget Bozzo che, in un libro scritto a quattro mani con vi sta ora annoiando, aveva già sostenuto – avevamo sostenuto – che l’Occidente si regge su Cristo e sulla verità cristiana, l’unica in grado di dare ragione delle migliori qualità dell’uomo e di valorizzare la sfera insieme spirituale e materiale dell’esistenza. Una fede, una libertà. Per tutti. L’Islam è dichiaratamente contro questa realtà. Cioè, contro la nostra civiltà.

L’Europa, in questa vicenda disseminata di odio e di violenza, si percepisce come colpa e si odia, dunque è più che mai vulnerabile alle pressioni islamiche, quelle emergenti con l’invasione di persone provenienti dalla Libia, Tunisia, Marocco ed altre aree molto “hot” per presenza islamico-jihadista: l’Europa come colpa. Un capitolo di quel libro, assai poco fortunato, che Mondadori pubblicò nel 2006, per poi sostanzialmente dimenticarsene, troppo politicamente scorretto, evidentemente. Titolo: “Tra nichilismo e Islam. L’Europa come colpa”: più attuale di così si muore.

E infatti…si muore, a quanto pare, e con la croce al collo, crocifissi, decapitati e trucidati in varie e diaboliche appunto – dice bene Gheddo – forme. Perché qui il diavolo lavora, eccome, e i cristiani l’hanno messo nel dimenticatoto, ma lui, contento di ciò, va a cercare, trovandoli, nuovi clienti, ben disposti a servire il “padrone del mondo” (Benson).

Dunque, tutto chiaro: ritornare a Cristo, cioè alle radici cristiane. L’Europa le ha censurate perfino dalla sua costituzione e i risultati di questo processo, che si sedimenta e si deposita nelle coscienze fino a indebolirle strutturalmente, è sotto gli occhi di tutti: viviamo di dichiarazioni di Draghi, azioni a dir poco deliranti di commissari non meglio definiti e qualche eretico estetizzante, stile dandy Oscar Wilde, che ci dà qualche palpitazione adrenalinica, ma nulla più. Ecco l’Europa nel suo profilo “politico” e “culturale”.

Stringiamo. Questa realtà “antifragile”, il Cristianesimo, che ha creato la Cristianità, cioè una cultura fatta da gente libera, liberale, perfino libertaria, chiassosa, irregolare, aspra talvolta, ma sempre creativa e affascinante, ecco solo questa meravigliosa e umanamente insuperabile civiltà, infinitamente superiore alla subcultura dei tagliagole e di chi li segue, è l’unica chance per l’Occidente addormentato e ipnotizzato da se stesso, dalle sue vie di fuga e dalle sue paure e fragilità (qui non basta neanche la resilienza).

Come scrive Gheddo:

“(…) Se l’Occidente vuol dialogare e affrontare la sfida dell’islam, deve ritornare a Cristo. La civiltà che abbiamo fondato noi cristiani oggi non accontenta nessuno, nemmeno i nostri popoli che l’hanno iniziata. È una civiltà senz’anima, senza speranza, senza bambini e senza gioia, di cui sono segno i troppi fallimenti di una società senza Dio. Non si è ancora capito che i Dieci Comandamenti e il Vangelo sono gli orientamenti che Dio ha dato, a noi uomini da lui creati, per vivere una vita che porti alla serenità, alla fraternità e solidarietà, all’autentico sviluppo, alla giustizia e alla pace (vedi la sintesi nella “Populorum Progressio”). Se l’Occidente non ricupera le sue “radici cristiane” e non le mette a fondamento della sua vita e della sua cultura, rimane solo la guerra e l’autodistruzione dei nostri popoli”.

Tutto qua. La soluzione è quella più “antifragile”, generativa e semplice, davanti ai nostri occhi: il Cristianesimo, la Cristianità, cioè…noi stessi, al meglio di noi stessi.

Eviterei – per chiamare in causa ancora Gheddo – interlocutori come il seguente, per dialogare (ammesso che ciò sia perseguibile in una stagione come questa):

“Un jihadista? Preferisco essere definito musulmano, semplicemente perché ritengo che ogni vero musulmano debba essere jihadista e credere in uno Stato islamico unico».

E’ quel tal Bilal Bosnic, imam con un certo seguito, che noi ospitiamo e di cui la Digos non può dire niente (nelle sue prediche non c’è nulla di pericoloso (!?) ), quindi impazza nel Nord Italia non da oggi, avendo fatto proseliti dal 2011, a quanto pare, e fino al 2013.

Quest’uomo ha un profilo Facebook – https://www.facebook.com/pages/Bilal-Bosni%C4%87/1411366202413332 – con un certo numero di “accessori” interessanti, dunque lavora tranquillamente a seminare odio e a smontare la chiave di lettura di Gheddo – la maggior parte degli musulmani non ne vuol sapere di jihad – e chissà che, presa dal punto di vista della salvaguardia e autotutela della nostra civiltà, non lo si debba prendere sul serio.

 

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