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Il Sistema Camerale e la sfida del digitale

Come trasferire alle PMI i benefici della rivoluzione digitale? A questa domanda – critica per la tenuta economica (e culturale) del nostro Paese – le risposte sono state ad oggi inefficacie e il nostro posizionamento all’interno delle statistiche (tassi di adozione, livelli di educazione al digitale, penetrazione della larga banda, …) non richiede commenti.

Il digitale non è uno dei tanti settori con cui confrontarsi; non è uno dei nuovi strumenti per migliorare la competitività. La sua pervasività è massima; il digitale contribuisce oramai a moltissimi aspetti della vita aziendale: risparmio del tempo, automazione dei processi, governo di procedure complesse, simulazione di comportamenti futuri, calcoli sempre più potenti e sofisticati, monitoraggio in tempo reale dei dati ambientali, lavoro virtuale, gestione dei clienti, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Anche le sue dimensioni problematiche stanno purtroppo crescendo: le inesattezze e falsificazioni di Wikipedia, il potere sotterraneo e avvolgente di Google, la fragilità psicologica indotta dagli universi digitali, il finto attivismo politico digitale svelato dall’espressione click-tivism, il diluvio incontenibile della posta elettronica, il pauroso conto energetico dei data centre o i crescenti problemi dello smaltimento del digitale e naturalmente le criticità legate alla privacy, alla sicurezza dei dati.

Ciò dipende anche dal fatto che il mondo digitale rappresenta oramai una potenza economica straordinaria che influisce – e influirà sempre di più – sui destini del mondo. Basti pensare che la sola capitalizzazione delle prima 10 aziende americane dell’ICT vale 3 volte la Borsa italiana.

IL RUOLO DELLE CAMERE DI COMMERCIO NEL DIGITALE

Le debolezze del digitale in Italia non sono dunque uno dei tanti problemi da affrontare: la capacità di cogliere i benefici della rivoluzione digitale – senza snaturarsi e controllandone i potenziali e crescenti lati oscuri – è una delle priorità del XXI secolo per tutte le imprese. Le più bisognose e meno attrezzate saranno naturalmente le PMI che costituiscono come noto l’asse portante (e la tenuta occupazionale) del nostro Paese.

Il sistema camerale ha da sempre operato nel digitale: pensiamo alla organizzazione e tenuta del registro delle imprese, al suo ruolo nella firma elettronica e nelle attività di certificazione digitale. Pensiamo alle attività di educazione al digitale, ai bandi per finanziare l’adozione di specifici strumenti informatici, alle iniziative per ridurre il gap digitale nelle zone più svantaggiate (ad es. sussidiando l’uso di collegamenti satellitari, …), alle recenti iniziative con Google. Pensiamo al Sistema Camerale come importante acquirente di strumenti e soluzioni digitali.
Molte di queste attività non hanno però sempre avuto l’efficacia sperata; i motivi sono diversi, ma tre mi sembrano particolarmente rilevanti nell’attuale percorso di ripensamento del ruolo delle Camere di Commercio:

– Il Sistema camerale ha spesso subito le procedure di digitalizzazione relative al rapporto imprese-PA (Pubblica Amministrazione) in maniera passiva senza poter contribuire a trovare soluzioni che semplificassero le attività per le PMI. Troppo spesso l’egovernment si è limitato a semplificare le procedure delle PA centrali “scaricando” sui territori e sulle aziende parte di quella complessità e inefficienza. La digitalizzazione della PA non deve diventare solo occasione di fatturato per i fornitori ICT (senza nulla togliere all’importanza di aiutare un settore critico per l’economia del futuro) e di riduzione dei costi della PA in maniera unilaterale e “a tutti i costi”. Deve diventare strumento per una semplificazione complessiva della PA e per un abbattimento complessivo dei costi di transazione fra imprese e Amministrazione pubblica.

– Non si è separata con la dovuta chiarezza la gestione dei fallimenti di mercato (frequente quando si tratta di portare innovazione tecnologica a un sistema di aziende molto piccole e disperse sul territorio) dall’erogazione di servizi a pagamento (che possono anche entrare in conflitto con gli operatori economici). Spesso il fallimento di mercato ha una durata limitata e poi li mercato reagisce e si abbassano i prezzi. È quindi necessario decidere non solo quando lanciare nuovi servizi ma anche quando chiuderli o cederli al mercato (nel momento in cui diventano “standard” oppure lesivi della concorrenza); oppure decidere quando acquisire nuove partecipazioni e quante risorse allocare (usando un razionale economico e non il semplice vincolo dell’ammontare delle risorse disponibili), ma anche quando dismetterle;

– Non c’è stato il coraggio di trasformare il registro delle imprese in un vero e proprio sistema di Business Intelligence nazionale, creando anche le condizioni perché le imprese fossero in grado di utilizzarlo per comprendere meglio non solo le specificità territoriali e le dinamiche di domanda e offerta ma anche le trasformazioni in atto del mercato

CHE FARE?

Sulla partita del digitale le competenze possedute dalle Camere di Commercio sono dunque fondamentali e – in taluni casi – addirittura uniche. Devono però essere usate meglio, in maniera meno sporadica e più di sistema e soprattutto devono essere messe all’interno di una visione e un percorso di digitalizzazione delle PMI che parta dalla comprensione dei molti errori fatti sul tema ed elabori un approccio un po’ meno imitativo (del mondo anglosassone) e più attento alle specificità del nostro Paese (soprattutto la prevalenza di piccole e piccolissime imprese, il basso livello di educazione digitale e la grande dispersione territoriale).

Vediamo allora quelle che – a mio parere – sono le core capabilities possedute dal Sistema Camerale che possono contribuire a rigenerare l’Agenda digitale delle PMI:

Innanzitutto la forma ibrida del Sistema Camerale – un po’ azienda un po’ Istituzione – lo candida ad essere l’attore privilegiato per condurre un progetto Paese di “rivitalizzazione digitale” delle PMI. Spesso le innovazioni cadono per gli eccessivi schematismi, per il gioco delle parti o per le singole debolezze delle controparti (sia Istituzioni che mondo privato); per questo un attore che rappresenti e sintetizzi al suo interno le due anime è particolarmente indicato per giocare questo ruolo.

In secondo luogo la presenza territoriale capillare, fondamentale quando si tratta di presidiare processo di inserimento tecnologico presso piccole imprese dotate di scarsa cultura “aziendale” e bassi livelli di scolarità. Il digitale trasforma le imprese, mette paura, richiede spesso la conoscenza dell’inglese. La vicinanza alle piccole imprese soprattutto nelle fasi iniziali di ingresso nel mondo digitale è fondamentale. Tanto è vero che la scelta di alcuni grandi operatori ICT di vendere le soluzioni digitali alle PMI tramite i call center si è rivelata fallimentare.

Vi è poi la possibilità di creare meccanismi perequativi, dove le risorse finanziarie (e soprattutto le competenze) dei territori più ricchi, possano aiutare virtuosamente le aree più svantaggiate non deve essere abbandonata, anche se molti degli interventi non hanno dato il frutto sperato. Pensare infatti che sia sufficiente la mano invisibile del libero mercato per digitalizzare le imprese artigiane, i coltivatori diretti, le piccole imprese del commercio o portare la larga banda in zone remote, poco densamente popolate e con barriere territoriali (comunità montane, isole, …) non è più solo ingenuità: incomincia ad essere malafede.

Infine le competenze digitali di Infocamere (non solo quelle legate alla gestione delle infrastrutture e applicazioni digitali, ma soprattutto quelle legate alle modalità di proceduralizzazione e di interazione con le imprese) e la sua vicinanza con il mondo delle aziende prattutto quelle medio-piccole. Essendo una struttura centralizzata ma con ramificazioni territoriali, Infocamere ha i vantaggi che si originano sia dalle economie di scala e di scopo tipiche delle strutture dedicate e centralizzate sia dalla prossimità (ed empatia) con le PMI, rafforzata dal fatto che le Camere di Commercio non si occupano solo di digitale ma conoscono in profondità procedure, bisogni e fragilità delle aziende e quindi sono i mediatori naturali per portare il digitale al loro interno trasformandone il modus operandi.

La costruzione di un Agenda digitale per le PMI richiede naturalmente maggiori approfondimenti e quindi questa riflessione va considerata come preliminare. Oltretutto le specificità di alcuni settori (pensiamo all’artigianato, all’agricoltura, al turismo, al commercio al dettaglio, al welfare, …) rendono difficile un approccio troppo generalizzato. Volendo comunque anticipare alcune proposte, vi sono a mio parere quattro attività che il Sistema Camerale potrebbe svolgere con efficacia all’interno del percorso verso una maggiore digitalizzazione delle PMI:

– Presidio – rispetto alle aziende – della corretta implementazione dei processi di egovernment, per evitare che si traducano in maggiori costi di transazione fra PMI e Pubblica Amministrazione. Oggi questi progetti – e la conseguente agenda digitale – sono stati definiti in maniera unilaterale dall’Amministrazione pubblica e da un gruppo di grandi imprese fornitrici di soluzioni digitali. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Nel suo passato, il Sistema Camerale svolgeva invece un ruolo di confronto critico (in rappresentanza delle aziende, soprattutto quelle piccole) verso ogni attività di digitalizzazione che la PA voleva imporre alle sistema delle imprese. Analizzava i costi complessivi, gli impatti sulle imprese e proponeva migliorie. Si tratta di riprendere questo ruolo che si è perso per strada.

– Spazio di sperimentazione (Demo Lab) per le aziende “principianti” verso il digitale, dove queste aziende possano fare i primi passi – gratuitamente – con le principali applicazioni digitali (sistemi gestionali, CRM, piattaforme di eCommerce, Business Intelligence e Data Representation , stampa 3D, …), grazie all’utilizzo di piattaforme semplificate ma operative. Non si tratta di sostituirsi al mercato quanto di creare un luogo di apprendimento al digitale che sia “in vivo” (cioè permetta alle imprese di operare davvero) ma con strumenti semplici (e gratuiti) e con l’affiancamento (nella fase iniziale) di tecnici esperti che conoscano le tecnologie digitali, ma anche le specificità e i timori delle PMI. Una volta presa confidenza, le aziende saranno in grado di comprendere meglio i propri bisogni digitali e potranno migrare con facilità verso prodotti di mercato.

– Regia nazionale non tanto dell’alfabetizzazione digitale quanto piuttosto della “formazione sul campo” e certificazione (per la richiesta di finanziamenti alle banche) dei progetti di quelle PMI che hanno già deciso di lanciare un’iniziativa digitale e che vedono la formazione con uno strumento necessario per fare meglio e avere maggiore certezza sui risultati.

– Gestione e diffusione dell’archivio “arricchito” delle imprese italiane. Ciò che serve oggi non è solo la gestione e messa disposizione delle imprese e della Pubblica Amministrazione di un registro delle imprese con finalità giuridiche e amministrative; nell’era della conoscenza il vantaggio competitivo si basa sempre di più sulle informazioni. Ma non è sufficiente un banale approccio agli “open data”. Come noto i dati invecchiano facilmente; inoltre molti dati che arricchirebbero il registro delle imprese sono di proprietà pubblica (ed è quindi il Pubblico che deve occuparsi della loro integrazione e continuo aggiornamento); servono infine gli strumenti, le modalità di correlazione e visualizzazione dei dati utilizzabili anche dalle PMI e da persone non particolarmente esperte; serve infine – e soprattutto – un’educazione diffusa sulla cultura del dato. Come ha osservato Saul Wurman, “l’ansia da informazione è il buco nero tra i dati e la conoscenza”.



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