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Il suicidio della nostra civiltà: tutto programmato

 

Souad Sbai, sul periodico online www.ilsussidiario.net, riflette, alla luce dei fatti, sull’espansione del veleno fondamentalista nella cultura europea, nella fattispecie francese, ma il fenomeno ha una portata ben più vasta. Librerie parigine con scaffali dedicati alla jihad, fenomeno ormai da leggere alla voce “postmoderno & dintorni”; autorità, anche sedicenti intellettuali, paralizzate di fronte a un fatto così pericoloso; una società, come quella francese, passata dall’integrazione alla corrosione interna. Questi i fatti.

La Sbai ha ragione: non usiamo più lo strumento culturale e, dunque, facciamo fatica a riconoscere il diavolo per quello che è, come faceva, con sàpida ed efficace ironia, quel gran bel tipo di Clive Staples Lewis. E’ la temperie del nostro tempo: una società invertebrata (il filosofo spagnolo Ortega y Gasset, a cui dobbiamo la geniale formula, qui adattata, perché originariamente indirizzata alla sua Spagna, aiuta  sempre e non solo per la densità di citazioni pronte all’uso). Ma non è tutto: una società invertebrata alla quale le élites dominanti si sono adattate. Di più: la usano per fare soldi o per scampare il pericolo della decapitazione. Illusione mortale. Perché la prima decapitazione è già stata compiuta e i nemici jihadisti non si sono neanche dovuti sporcare le mani. Si chiama la concezione dell’Europa come colpa. Lo scrisse nel 2006 Gianni Baget Bozzo, in un libro troppo poco fortunato, perché trucemente profetico: l’Europa si autopercepisce come colpa. La colpa originaria dell’Europa è la sua fondazione e quest’ultima ha un ulteriore epilogo, che si chiama Occidente, altro concetto da clandestinità abitata da reietti.

Troppo spesso dimentichiamo – perché, appunto, non usiamo più lo strumento cultura, impastato innanzitutto di memoria – che tutto nasce in Italia: la civiltà cristiana come fondamento non solo individuale, ma anche sociale, pensiamo soltanto a San Benedetto, con il suo ora et labora, l’organizzazione manageriale dei monasteri – studiata anche nel Regno Unito -come entità produttive, culturali e spirituali (non spiritualistiche); la moneta come strumento di espansione della velocità dei flussi di cambio, tutto ciò anche espresso come carta di cambio o cambiale, che dobbiamo alla civiltà francescana; lo stesso capitalismo, che nasce come realtà territoriale concreta, con mercati concreti (spesso rionali) e strumenti forti come le navi per i grandi commerci delle Repubbliche marinare, depositi aurei come le città, codici di regole incarnati e resi vivi da esperienze concrete di risposte ai bisogni concreti e apertura a ideali cristiani e umanistici (si chiama economia civile e c’è tutto un filone di studi che se ne occupa da decenni); per non dire (troppo) sulle forme di governo, soltanto in Toscana – sede altolocata di tutto questo bendidio – abbiamo due modelli vincenti: Firenze e chi se n’è occupato (Machiavelli, mi pare:-D ) e Siena, con la sua originalità anche cateriniana (derivante da Santa Caterina da Siena, compatrona dell’Europa, non a caso, insieme a San Benedetto); e mi fermo qui. Tutta roba nostra, il vero Made in Italy (non solo prosciutti, moda e stile, fantastici, ma c’è anche dell’altro, varrebbe la pena contaminarlo e veicolarlo, perché no?, anche attraverso il fantastico San Daniele, il prosciutto intendo, o il Grana Padano…).

Ecco, tutta questa materia incandescente di vita e futuro è stata bruciata sull’altare del nulla e del nullismo paraculturale e oggi ne paghiamo le conseguenze: tutto qua.

Finita l’analisi? Sì, finita.

Qualche data: il volume collettaneo sul mitico “pensiero debole”, divenuto un oggetto di culto per i non-pervenuti-al-pensiero e letto da uno sparuto gruppo di aficionados, essendo una collazione di testi senza capo né coda, riporta la data 1979 (!); ora, come sappiamo, esce un libro, quando il danno è già fatto, e infatti era già stato fatto: il suicidio della modernità.

La cultura arriva sempre dopo, prima c’è la Chernobyl spirituale e la rovina interiore.

“Forse una guerra tornerà e tu dovrai decidere chi sei” – una brano dalla canzone “Brian Francisco” di quel geniaccio anni ’80 di Alberto Fortis. Ecco, appunto, allora dovrai decidere chi sei. Dopo il suicidio, la trasfigurazione nel luogo della decisione, rovine altère di fronte a te, povero europeo (italiano, tra parentesi) occidentale, alterato. Se mai avverrà, a bocce così ferme di fronte al niente.


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