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Irak, il salto di qualità necessario a Usa ed Europa contro l’Isis

Quella che viene definita orma come la più potente organizzazione terroristica della storia recente è alle porte di Baghdad, controlla la diga di Mosul e vende il petrolio al regime di Assad. Lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (o Siria) non è una pattuglia di esaltati con kalashnikov, bombe a mano e qualche kamikaze disposto a sacrificarsi per la causa. Siamo di fronte ad un esercito con armi pesanti, contraerea e soprattutto migliaia di giovani con una vasta esperienza e una forte motivazione addestrati nei teatri di guerra in Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Algeria e Libia.

Dopo il fallimento nel realizzare il “paradiso in terra” in Sudan e Afghanistan, il loro sogno è insediare un califfato nel cuore della civiltà araba tra Damasco e Baghdad. Quella dell’Isis è stata una marcia trionfale tremendamente sottovalutata dalla leadership politica statunitense per non parlare dei Paesi europei. Si è ritenuto, non imparando dalle precedenti esperienze, che fossero in balia di Paesi comunque amici, gestibili e funzionali in chiave anti iraniana per fermare l’egemonia sciita nell’area. Oltre alla stanchezza nel mettere veramente la testa nella drammatica vicenda siriana, affrontata nelle sale d’albergo con interlocutori lontani dal teatro dei combattimenti e ritenuti poco credibili persino dalle loro popolazioni. Lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante è un esercito ideologicamente più estremista della stessa al Qaeda, si è guadagnato la fama incutendo terrore tra i potenziali oppositori con modalità di una crudeltà inaudita sgozzando gli ostaggi, compiendo esecuzioni di massa e cacciando i non musulmani.

Al Qaeda, la casa madre che pure aveva benedetto la branca irachena e ancor prima l’ispiratore e primo leader Abu Musaab al Zarqawi, si è dovuta rassegnare con un discorso imbarazzato di Ayman Al Zawahiri che negava il proprio parere positivo al progetto del califfato e ribadiva il sostegno ai due gruppi separati di Iraq e Siria.
Di fronte ad un movimento internazionale, che legittima persino l’uccisione dei mujahidin appartenenti ai fronti non ad esso allineati come sta avvenendo in Siria, che continua a reclutare giovani in massa provenienti da Stati Uniti, Europa, Paesi del Golfo e Maghreb, non possiamo permetterci il lusso di rimanere fermi nemmeno un istante. Il rischio emulazione si sta già concretizzando con adesioni all’Isis dal fronte libico, tunisino e persino nel vicino Kosovo sono stati eseguiti una serie di arresti di combattenti Isis appena rientrati in patria.

Urge non solo una risposta per fermare i crimini in atto contro cristiani, yazidi e altri musulmani, ma un salto di qualità politico e culturale laddove le conseguenze della nostra indifferenza nei confronti di Aleppo o Mosul, le stiamo già pagando con l’enorme flusso di rifugiati a Pozzallo e potenziali califfati a poche miglia dalle nostre coste.

Khalid Chaouki
Deputato PD, Commissione Esteri
Pres. Commissione Cultura – Ass. Parlamentare Unione per il Mediterraneo



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