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Irak, ecco perché saranno i cristiani a pagare il prezzo più alto

Qual è il destino della popolazione cristiana in Medio Oriente ora che l’avanzata dei fondamentalisti dell’Isis ne minaccia l’esistenza? L’esodo verso posti più sicuri è la soluzione migliore per il momento? E se no, chi li difenderà?
Aspetti analizzati da Formiche.net in una conversazione con Antonio Picasso, giornalista, collaboratore dell’Ispi e autore del libro “Quel che resta di loro. Viaggio tra i cristiani d’Oriente”.

Come ha incominciato a interessarsi dei cristiani del Medio Oriente?

Mi sono avvicinato alle loro storie perché ero incuriosito dal fatto che in anni in cui si parlava moltissimo del Medio Oriente solo pochi giornalisti parlavano di loro. Ho deciso così nel 2010 di scrivere un primo libro che parlava dei cristiani di tutta la regione.

Quanti cristiani sono rimasti in Irak?

Fino alla caduta di Saddam Hussein erano un milione e quattrocentomila oggi al massimo ne saranno rimasti 400 mila.

I cristiani iracheni sono come i copti egiziani, o le chiese libanesi che pur di rimanere nelle loro terre non hanno esitato a difendersi, in alcuni casi anche con le armi, o sono una comunità sopraffatta che non sa come reagire?

Direi che sono oramai completamente sopraffatti, stanno scappando e basta.

In che Paesi vanno?

Un tempo molti andavano in Siria, dove ora saranno rimasti intrappolati. Altri ancora si sono ricongiunti a parenti che vivevano in Australia, Canada o in Nord Europa.

I cristiani iracheni hanno movimenti politici che li rappresentano?

Hanno qualche parlamentare, ma nessuno nel governo. Sono politicamente deboli.

A quale chiese appartengono?

La maggior parte sono caldei, ci sono poi melkiti, maroniti, cattolici e protestanti. L’Irak per anni è stato vicino al mondo anglosassone e poi americano, questo ha comportato l’arrivo di molti missionari protestanti piuttosto aggressivi che non sono per nulla amati dalle chiese tradizionali perché arrivano con la presunzione di insegnare loro vero cristianesimo quando lo consuono da duemila anni.

L’arrivo dell’Isis rappresenta la lapide tombale dei cristiani locali?

Ho paura di sì, se con Saddam Hussein pagavano una tassa in quanto non musulmani e potevano vivere in pace, anche se rimanevano comunque cittadini di serie b, con l’Isis vengono uccisi o se pagano al massimo ottengono la possibilità di poter scappare.

Nel mondo musulmano qualcuno si sta muovendo per difenderli?

In pochi, non riesco nemmeno ad immaginare come Washington riuscirà a farlo senza intervenire via terra. Di certo con i droni si può solo tamponare la situazione.

È possibile sconfiggere l’Isis senza coinvolgere l’Iran e la Siria controllata da Bashar Assad?

Gli Stati Uniti stanno di fronte ad una sfida difficilissima, se è possibile coinvolgere l’Iran, anche se poi bisogna capire le conseguenze a lungo termine di tale alleanza tattica, trattare con il governo di Bashar è molto più complicato essendo Damasco immersa in una guerra civile in cui tutti hanno le mani sporche di sangue. Certo gli alawiti hanno una visione laica della società e sono nemici naturali dell’Isis, ma mi chiedo come possano i sunniti, maggioranza nel Paese accettare il loro governo dopo una guerra civile tanto drammatica.

Alcuni analisti vedono come soluzione per la Siria una divisione del Paese in due aree, uno stato vicino alla costa dove vivano gli alawiti, gli sciiti e i cristiani e uno nell’entroterra sunnita. Essendo le popolazioni molto mischiate questo non creerebbe una balcanizzazione della regione?

Anch’io all’inizio della guerra civile siriana ho pensato che la divisione del Paese in due potesse essere prevedibile, non che la auspicassi, ma era un risultato probabile. Certo ora con l’arrivo dell’Isis tutto cambia.

L’Isis ha chiarito che non le interessa uno Stato sunnita tra la Siria e l’Irak, ma che lotta per la creazione di un califfato che unisca tutto il Medio Oriente. Sopratutto ha dimostrato con i fatti che intende uccidere o cacciare chiunque non si converta alla loro corrente fondamentalista dell’Islam. Questo mette in pericolo tutti i Paesi dell’area a cominciare da Libano, Giordania e Israele. Questo non comporta che una guerra con attori internazionali sia inevitabile?

È uno scenario probabile, anche se per ora gli Stati Uniti sembrano riluttanti per paura della reazione dell’opinione pubblica. Certamente si può dire che la politica di Obama in Irak sia stata per ora fallimentare. Sarà molto complesso uscirne fuori.

Essendo le popolazioni mediorientali non omogenee e piene di minoranze di tutti i generi, non bisogna favorire un ripensamento della cultura politica di questi Paesi dopo che gli equilibri che avevano permesso la convivenza per oltre un millennio si sono rotti nell’ultimo secolo?

Sarebbe auspicabile, ma non vedo per ora movimenti culturali capaci di farlo, le cosiddette primavere arabe per esempio hanno fatto una brutta fine. Il capo di Al Azhar ha ogni tanto detto qualcosa contro il fondamentalismo islamico, ma le sue parole non hanno avuto per ora l’effetto sperato.

I cristiani iracheni sono l’agnello sacrificale di questa situazione?

Assolutamente sì.


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