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La Bundesbank sta rinsavendo?

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo il commento del giornalista Sergio Luciano, apparso sul quotidiano Italia Oggi

Consoliamoci, la Germania ci ha distrutto e la Germania ci rifarà. Forse! L’odiato, inscalfibile e inossidabile limite del 3% nel rapporto tra il deficit e il Pil potrebbe finire con l’essere abbattuto proprio dai suoi più occhiuti custodi. È questo l’auspicio che traggono numerosi osservatori dall’imprevedibile uscita della Bundesbank a favore di un aumento dei salari tedeschi fino al 3%, definito «compatibile» con l’attuale inflazione 2%. Sì, proprio così: la Banca centrale tedesca, somma sacerdotessa dell’ortodossia monetarista europea, ha fatidicamente ammesso che è l’ora di allargare i cordoni della borsa. Suscitando peraltro le ire degli imprenditori tedeschi che dall’orecchio degli aumenti salariali non ci sentono.

Ma che cosa c’è dietro questa «conversione» della Bundesbank e che cosa c’entra con il limite del 3% nel rapporto deficit/pil fissato dai parametri di Maastricht? La verità è che anche la Bundesbank inizia a temere la deflazione, un calo dei prezzi che deprime fatturati e lavoro, più che l’inflazione. Mettere in circolazione più denaro destinabile ai consumi, sarebbe utile allo scopo di scongiurare la deflazione e sostenere la domanda interna. È vero infatti che in Germania c’è sostanzialmente piena occupazione, ma ciò accade soprattutto grazie ai cosiddetti «mini jobs», lavori e lavoretti poco remunerativi che permettono una sopravvivenza a dir poco spartana. Bisogna che i tedeschi consumino di più, spendano di più, e quest’esigenza ricorda da vicino quelle analoghe italiane, francesi, spagnole_

Se questa uscita della Bundesbank non si rivelerà episodica, ma sarà seguita da altre esternazioni dello stesso segno, come gli economisti iniziano a scommettere, vorrà dire che il solito «stellone» italico sarà potentemente intervenuto a dare una mano al Belpaese e al suo premier pro tempore, Matteo Renzi. Il 2015, infatti, col pieno dispiegarsi degli accordi del «fiscal compact», che hanno segnato l’apoteosi del rigorismo filotedesco, rischierebbe di essere il capolinea di qualunque velleità di investimenti pubblici per lo sviluppo che saltasse in mente al governo italiano (come a qualunque altro governo «latino» dell’Unione europea). Ma se invece l’azionista di maggioranza dell’euro, la Germania, ammorbidirà davvero la sua linea, tutti respireranno e millanteranno di averla convinta, mentre invece soltanto il rallentamento della crescita economica nazionale sta facendo riflettere i «padroni del vapore» a Berlino e a Francoforte. Ma tant’è: accontentiamoci. Se finalmente anche ai tedeschi farà comodo quel che farebbe comodo a noi, si accenderà davvero per noi la famosa «luce in fondo al tunnel».


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