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La Fiat va altrove. Non abbiamo perso niente.

La Fiat va altrove. Lo è già da un pezzo. Non abbiamo perso niente. Non c’è nulla da rimpiangere, né il passato, né il passato prossimo. Né tanto meno il presente. Di seguito il ritratto della figura di Dante Giacosa. L’ingegnere al tempo della Fiat. Ecco.

Dante Giacosa fu ingegnere. Laureato al Politecnico di Torino. Progettista FIAT. Alla corte di Giovanni Agnelli. Il padre di Gianni e Umberto. Militare, senatore, imprenditore, borghese, sabaudo e feudatario. Prosopografia necessaria. Atta a ribadire status, attributi, l’azione immobile del’autarca più importante dell’industria italiana del 900.
Atlantista, fordista ma non troppo. Le ricette di là dell’Oceano vengono cotte, di qua, nel Barolo. Si prende quanto di buono arriva dall’esperienza industriale americana ma si coniuga alla nostra maniera, rispettando la società, l’antropologia della vecchia Europa e le conventicole di qua da noi, in Italia. La grammatica, i modi e i tempi rendono il nostro industrialismo un discorso fatto di pochi indicativi e pieno di subordinate. E subordinati. Dante Giacosa, beh, uno di questi. Bravo, certo. Come progettista.
– Tutto preso dal mio lavoro, pensavo poco ai quattrini- . – Non mi occupavo degli sviluppi politici ed economici. Del mio lavoro mi occupavo e non pensavo ad altro – . Punto. Antropologia spicciola, o quasi. Spicciola, come spiccioli erano i quattrini che entravano nelle tasche degli ingegneri progettisti della più grande fabbrica italiana di automobili.
Dante Giacosa frequentava il Politecnico. Anche lì assorbito dallo studio, non aveva tempo di dedicarsi alla letture dei quotidiani. – L’ignoranza degli avvenimenti faceva parte della loro spensieratezza – . Almeno dall’attualità si tenevano fuori per distendersi. Disimpegno dunque. Totale dagli affari che non fossero direttamente collegati allo studio. A cinematismi, a ruote dentate. Ad ingranaggi. E nell’ingranaggio si scivolava, prede degli automatismi.
Siamo negli anni 20. L’ingegnere, che di là dell’Oceano per Henry Ford è la più importante figura di intellettuale, qui in Italia è un soggetto isolato politicamente e socialmente. Studia e lavora.
E’ facile immaginare la risultante. Una brutta diagonale su di un parallelogramma sbilenco. Mentre Ford, nelle pur contraddittorie idee sull’industrialismo e sullo sviluppo e modernizzazione, coerentemente poneva sul palmo della mano il ruolo dell’intellettuale ingegnere, qui da noi Agnelli preferiva tenerlo nel taschino. In grande considerazione nel momento della creazione della nuova autovettura. Ma non come interlocutore a tutto campo. La distanza che doveva separare l’imprenditore autarca piemontese e l’ingegnere progettista era velocità per tempo per il fattore lignaggio. Correttivo.
E così mentre Dante Giacosa, studente al Politecnico si prepara a disegnare la Zero A, nome in codice della Topolino, in America stava per nascere Tom, il gatto che se la sarebbe mangiata.


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