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La lezione degli scout di San Rossore

Questo articolo è stato pubblicato su L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi.

Nell’Italia in bilico fra crisi e rilancio, ma sempre alla ricerca di fiducia, anche dalla “marcia dei trentamila” può arrivare un segnale importante. Sono i giovani dall’inconfondibile camicia azzurra che, nel parco di San Rossore (Pisa), in queste ore stanno concludendo la Route Nazionale dei rover e delle scolte, rinnovando i valori antichi dello scoutismo. Valori semplici e perfino romantici, che possono far sorridere un tempo così cinico e complesso come il nostro.

Quant’è facile fare battute su lupetti e coccinelle e un modo forse un po’ antiquato di organizzarsi e di concepire il rapporto con gli altri: campi piantati su un prato per conoscersi e parlarsi per ore, quando basterebbe un clic su Facebook per scoprire l’identità di persone senza neppure doverle frequentare. Essere parte attiva di una comunità viva, il calore dell’insieme, ecco, anziché far ruotare il mondo attorno all’ombelico del proprio «Io» per arida via telematica.

È proprio l’idea che la vita vada vissuta sempre con sacrificio e con lealtà, e vissuta fin da piccoli, a rendere lo scoutismo italiano una risorsa per la società.
Dalla buona azione del boy scout che aiuta la vecchietta ad attraversare la strada -lo stereotipo-, il passaggio all’impegno concreto che tanti di questi giovani hanno dato e danno in molti modi alla società, magari affiancando associazioni come «Libera» di don Luigi Ciotti, è naturale.

In un certo senso un servizio civile e laico, quasi la prosecuzione con altri mezzi dell’«imparare facendo» che si insegna, e poi insegnano, esploratori e guide animate dal movimento cattolico. Principi indicati come il rispetto delle regole e l’amicizia disinteressata possono trasformarsi nel corso degli anni e delle circostanze in promozione sociale, in solidarietà non proclamata per farsi belli, ma esercitata per sentirsi meglio. Succede quando si ha la sensazione d’aver fatto qualcosa di buono per gli altri.

Ma forse delle diverse cose che i trentamila giovani riunitisi a San Rossore cercano di interpretare, è soprattutto l’idea della responsabilità -ciascuno con il suo piccolo compito e nel suo piccolo gruppo, a rendere maturo e paradossalmente innovativo lo scoutismo.
Nel vuoto generale di una politica e di istituzioni dove nessuno si prende «la grana» di decidere, e dove la colpa degli errori è sempre di qualcun altro, la prospettiva opposta che si può essere maturi, anche da bambini o da ragazzi, semplicemente facendo la cosa giusta al momento giusto, è un insegnamento fondamentale. Per la persona e per il cittadino che ognuno di loro sarà, ma anche per tutta la comunità in cui vivranno e saranno chiamati ad operare.

Qualcuno potrebbe dire che l’ex boy scout Matteo Renzi abbia preso da qui (e non dall’ambiente politico in cui è cresciuto), questa insolita propensione per un leader di partito e presidente del Consiglio a decidere comunque, come ha appena fatto portando a casa la pur discussa riforma del Senato.
Del resto, solo chi non decide, si sa, non sbaglia. Ma sbagliare è un atto di maturità. Vuol dire assumersi una responsabilità e farla valere, a costo di restare soli o di perdere la sfida. E allora anche i giovani scout in cammino possono contribuire a rendere l’Italia un po’ più adulta. E più capace di osare, come invita a fare la «Carta del coraggio», elaborata dai giovani rover e scolte in questi giorni di incontro nazionale.

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