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La troika dietro l’angolo

Mentre Renzi e  Berlusconi discutono per ore di Senato e legge elettorale il Paese affonda. Non è più tempo di rinvii. O si fanno le riforme vere, quelle servono sul serio, o arriverà la troika.

La convinzione, fondata, che Renzi sia l’ultima spiaggia prima della cessione di sovranità all’Europa fa premio, per molti osservatori, sull’obiettività. E’ questa l’unica ragione per cui in tanti si affannano a dire che sì, la riforma del Senato è un primo passo importante sulla strada delle riforme. Si cerca di tenere alto il morale del Paese e della sua classe politica nella speranza che si crei un clima più favorevole per la messa in cantiere e l’approvazione delle riforme che contano davvero, quelle del lavoro, dell’economia, del fisco, della burocrazia. Si tratta però di una mera speranza o se volete di un trucco e niente di più. Le cose stanno in modo molto diverso. La riforma del Senato e quella che sarà fatta a seguire della legge elettorale non servono allo scopo dichiarato. Prima di tutto perché sono pessime riforme, secondariamente perché non avranno nessuna incidenza sullo snellimento del processo decisionale. La prima infatti potrà dispiegare i suoi effetti, se tutto va bene, fra oltre un anno quando l’Italia o è uscita dalla crisi o sarà già stata commissariata dall’Europa, la seconda perché più che alla stabilità del Paese serve alla stabilità politica di Renzi e Berlusconi. Difficilmente si verificherà l’effetto-traino che in cui molti sperano. A settembre, volenti o nolenti, il governo dovrà mettere mano ai temi veri e allora inizieranno i dolori. In quel momento sarà evidente a tutti che si sono persi mesi importanti.

Il governo tenta di sminuire ma la situazione italiana è drammatica. E’ questo un errore che ha già fatto Berlusconi e in cui ora sta cadendo Renzi. All’inizio del novembre del 2011 il Cav,, allora premier, tentò di negare l’evidenza con la celebre uscita “Crisi? Ma se i ristoranti sono tutti pieni”. Dopo nemmeno due settimane aveva già rassegnato le dimissioni. Da quel momento, anche se lo spread è tornato quasi normale, e non è poco, le cose sono andate peggiorando. Trimestre dopo trimestre il PIL ha sempre avuto il segno meno, moltissime aziende hanno chiuso, altre sono finite in mano straniera, i posti di lavoro sono andati sempre calando, migliaia di giovani laureati hanno continuato ad andare all’estero. Oggi siamo in recessione, anche se, per edulcorare il concetto, tutti si affannano a parlare di recessione tecnica. La verità è che sui conti del Paese, che per diversi analisti presentavano già più di un problema vista la difficoltà di mantenere tutti gli impegni presi, grava la mancata ripresa. Invece di + 0,8%, previsto dall’Esecutivo solo qualche mese fa, siamo a – 0,2%. Vale a dire un punto percentuale di PIL, il che, tradotto in cifre, fa la bellezza di 16 miliardi. Soldi che devono saltare fuori in qualche modo. Renzi sembra ipotizzare tagli alla spesa, ma anche questa, visto che nell’ultimo anno la spesa invece di diminuire è aumentata del 7,8%, è qualcosa più di una scommessa. C’è qualcuno che pensa davvero che i mercati o l’Europa se ne stiano tranquilli perché il Senato ha approvato in prima lettura la sua riforma? A settembre o si buttano sul piatto riforme forti e coraggiose o saranno guai. A quel punto il problema più che della maggioranza di governo sarà del PD. Il partito di maggioranza relativa resterà compatto, ad esempio, quando verranno in discussione i provvedimenti sul lavoro? Dalle prime avvisaglie c’è da dubitarne. La CGIL, che tanto peso ha su molti parlamentari democratici, ha già fatto ricorso alla Corte Europea per il decreto con cui Poletti ha liberalizzato i contratti a tempo determinato fino a 36 mesi.

A settembre sarà meglio prendere il toro per le corna. Basta con le manfrine. Pochi provvedimenti chiari, certi e definiti. Poi in Parlamento e chi li vota li vota. Non c’è tempo da perdere. Nel 2015 dovremo avere il pareggio di bilancio, nel 2016, oltre al pareggio di bilancio,  dovremo rientrare di un ventesimo del debito pubblico che eccede il 60% del PIL, qualcosa come 45/50 miliardi. Chi pensa ad ulteriori rinvii si illude. L’alternativa è una sola: la troika.


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