Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso su Italia Oggi
Non ci si deve fermare alle dichiarazioni o ai titoli dei giornali per capire cosa sta realmente accadendo lungo l’asse che unisce Roma, Francoforte e Berlino. Certo, le riforme italiane sempre rinviate e l’economia con l’unico Pil incatenato allo 0% dell’eurozona, sono aspetti importanti. Certo, lo spread che è tornato ad allargarsi e che è ora più di 20 punti base stabilmente superiore a quello spagnolo, preoccupa.
Certo, il pareggio di bilancio già slittato al 2016 e forse anche più in là e il deficit che rischia di superare nuovamente il 3% del Pil, destano molti timori.
Tutto vero, ma dietro al confronto irrituale che nelle ultime 48 ore ha visto confrontarsi il premier Matteo Renzi con la Bce e il rischio di un commissariamento dell’Italia da parte della Troika, si nasconde anche un’altra verità: quella del Belpaese come l’ultimo baluardo non ancora germanizzato dell’eurozona. L’ultima economia che non ha ancora capitolato al diktat tedesco fatto di aiuti a fronte dell’adozione del modello economico che Berlino vuole per tutta l’eurozona. Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia (quest’ultima è quella che ha provato ad opporre le resistenze maggiori ma senza troppi risultati concreti anche perché con la Turchia di Erdogan più forte che mai Atene ha bisogno di Berlino oggi più di prima) tutte in successione sono capitolate alla dottrina tedesca.
Hanno ricevuto aiuti dal prestatore di ultima istanza dell’eurozona, le riserve valutarie di Berlino, e hanno fatto le riforme richieste per allineare le loro economie al modello tedesco. Finanza pubblica non espansiva, rigida dottrina monetaria, rivalutazione della moneta, bassa inflazione, alta produttività e vocazione all’esportazione. Fuori dal progetto di germanizzazione, resta solo l’Italia, perché la Francia è una storia a sé. Parigi serve a Berlino per rassicurare le cancellerie del resto del mondo che il Reich non è rinato con le stesse sembianze del secolo di Bismarck e con una moneta chiamata euro. Senza Parigi nella moneta unica, la Germania sarebbe immediatamente oggetto di attenzione da parte di Washington e di Mosca perché le guerre non si vincono per nulla.
Dunque, tocca a Roma. E tocca a Matteo Renzi, primo premier politico nella effettiva possibilità di negoziare con Berlino e Francoforte, perché Monti e Letta erano senza un vero mandato e Berlusconi non era considerato una controparte negoziale dai tedeschi. Renzi, invece, ha ottenuto i voti ed è segretario del partito che governa, quindi può puntare i piedi, difendere la specificità degli interessi italiani che non possono, senza combattere, finire sotto lo schiaccia sassi teutonico.
L’economia italiana viene da un modello di sviluppo basato sulla bassa produttività, l’elevata inflazione – perché scarsamente liberalizzato e contendibile – l’utilizzo del bilancio pubblico come uno strumento di stimolo della domanda, a prescindere dai vincoli di pareggio e la necessità di svalutare periodicamente la moneta per ridare competitività alle sue esportazioni. Nel modello tedesco solo una parte dell’economia italiana, quella da anni più esposta ed integrata con la competizione globale, può farcela. Una prospettiva di breve termine davvero scomoda da gestire per qualunque capo di governo.
Ma cosa può concretamente fare Renzi? Con un ciclo economico meno avverso avrebbe avuto più carte in mano da giocare. Ma ora che anche il Pil del suo primo anno di governo rischia di chiudere in negativo e il 2015 è «terra incognita» il Premier può giocare solo all’attacco. Mostrare i muscoli, far vedere che non ha nulla da perdere, usare i toni forti degli ultimi giorni. Per ottenere cosa? I mercati danno per scontato che la flessibilità non sarà concessa da Berlino e che la trattativa riguarderà quelle che Mario Draghi ha definito «cessioni di sovranità dei singoli stati». Quindi Renzi pare dover optare tra una ipotesi di germanizzazione morbida, riforme domestiche contro la Cgil e parte del suo Pd, accompagnate da una politica accomodante della Bce verso la nostra deflazione, ed una politica normale, aiuti a fronte della Troika. Ma alla germanizzazione Renzi non pare poter sfuggire, perché a lui la storia ha affidato questo compito: traghettare l’Italia nell’eurozona dominata dal Terzo Reich difendendo al meglio gli interesse italici. Una battaglia che deve condurre molto da solo, perché neppure Mario Draghi, bloccato in un ruolo da non italiano, può aiutarlo più di tanto.