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Le convergenze non più parallele tra Pechino e Seul

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo il commento di Pierluigi Magnaschi, già direttore dell’Ansa, ora direttore dei quotidiani Italia Oggi e MF/Milano Finanza.

Mentre in Italia tutta l’intellighentia politica, con il codazzo, sempre appassionato, dei media, sta discutendo accanitamente su problemi larghi come la capocchia di uno spillo, la Cina sta vigorosamente ridisegnando la sua politica estera per adeguare, alla sua potenza economica, il suo ruolo politico nel mondo.

Paradossalmente, oggi, la Cina è più ben vista (e meglio inserita) in Europa, in Africa e in America latina che non in Estremo Oriente dove persistono vecchi rancori e nuove diffidenze. Pechino sa che un antagonista roccioso e immodificabile è, e resterà, il Giappone. Deve perciò cercare di togliere, da questo pivot, l’adesione di altri paesi asiatici come, per esempio, la Corea del Sud che ha, nei confronti di Tokyo, dei fortissimi rancori non sopiti che risalgano alla sanguinosa occupazione giapponese nella prima metà del secolo scorso.

Quindi, spontaneamente, Seul sarebbe più vicina (o più avvicinabile) da Pechino di quanto non lo sia stata sinora. Agli occhi della Corea del Sud, però, la Cina ha il difetto di aver finanziato e sostenuto la Corea del Nord che è un paese gravemente sottosviluppato ma anche, purtroppo, dotato di bombe atomiche e di missili in grado di veicolarle anche molto lontano dalle basi di lancio.

Non solo, Pyongyang si dichiara tutt’ora, e deliberatamente, in guerra con la Corea del Sud (non ha infatti mai voluto firmare la pace, anche se l’armistizio di Panmunjeom fra i due paesi, risale al 1953, sessant’anni fa). Per Seul quindi, Pyongyang costituisce il nemico pubblico numero uno.

Se la Cina vuol vedersi spalancare le porte della Corea del Sud (che lo sono già, dal punto di vista economico), deve allentare i suoi legami con la Corea del Nord o, meglio, deve riuscire a disinnescarne la minaccia nei confronti di Seul. L’operazione non è facile ma essenziale.

Intanto però il premier cinese, sotto gli occhi preoccupati degli Usa, ha inaugurato (calorosamente contraccambiato) una pressante strategia del sorriso con Seul. Un caso fra tutti: dal tempo della sua nomina, gli incontri del premier cinese Li Keqiang con il premier sudcoreano sono già stati quattro. E ciò dimostra che la nuova tela diplomatica cinese sta cercando di insidiare la supremazia del Giappone in questo quadrante e di mettere in difficoltà l’insediamento americano che tuttavia , in quest’area, resta comunque fortissimo.


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