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Meeting di Rimini, due chiacchiere con i giovani ciellini

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo la lettera di Marco Cobianchi a Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Caro direttore

volevo raccontarti dei volontari del Meeting, ma di giorno non riesci a fermarne nemmeno uno: corrono tutto il giorno da una parte all’altra di questo immenso baraccone della Fiera di Rimini. Imprendibili. L’unico momento per beccarli e poterci parlare con calma è quando il Meeting chiude e così ho deciso di trascorrere la notte con i ragazzi che sorvegliano i padiglioni. Il loro turno inizia alle 23 e finisce alle 8.

Per prima cosa: sai quanti anni ha il capo della vigilanza notturna del Meeting? Quello che è responsabile della sicurezza di 170mila metri quadrati di Fiera che contiene milioni di euro in materiali, attrezzature, computer, opere d’arte? Sessanta anni? Cinquanta? Quaranta? Ha 23 anni. Ventitrè! Nel mondo normale, è un bambino, qui l’hanno fatto capo della vigilanza notturna. Si chiama Fabio, barbetta incolta, occhiali da secchione e occhi vispi. Fabio dà ordini, via radio, a una decina di volontari dall’età media di 22 anni: nessuno di loro era nato quando è partito il Meeting, 35 anni fa. Il primo che incontro è Raffaele, ha 20 anni, e ha un compito, diciamo, non di grande responsabilità: controllare i bagni. Giuro! Deve verificare che sulle porte e sui muri dei servizi (degli uomini e delle donne) non ci siano scritte o scarabocchi. Secondo un rapido calcolo alla Fiera di Rimini ci sono circa 300 bagni e di ognuno Raffaele deve aprire la porta e vedere che non siano imbrattati. Mi ha fatto un po’ pena e così gli ho dato una mano. Abbiamo controllato circa 50 bagni e il risultato e che quelli delle donne sono perfetti mentre circa un terzo di quelli degli uomini hanno scritte con i pennarelli sui muri e sulle porte, generalmente con i soliti peni stilizzati. Dopo averli controllati, Raffaele torna dal suo capo, Fabio, e fa rapporto: quanti peni ci sono in quali bagni. Fabio prende appunti su un quadernino nero per verificare che quelle scritte non ci fossero già prima che iniziasse il Meeting perché se fossero stati fatti durante la settimana del Meeting, tocca ripulire.

Cosa c’entri tutto questo con la felicità, la bellezza, le periferie, il destino, non è chiaro. L’ho chiesto a Emanuele, uno che non gli daresti 16 anni (invece ne ha 23). «Ma la vigilanza notturna», gli dico. «è veramente un modo sfigato di fare il volontario. Dì la verità, l’hai combinata grossa se ti hanno messo al turno di notte». E lui: «Ma no, ma no_ io sono qui perché mi hanno detto che avrei visto Cristo all’opera». «Ma figurati!», gli ho detto quando ormai si era fatta l’una e mezza, « spiegami che cosa c’entra contare i peni sui muri dei bagni con Cristo all’opera». E lui: «Certo! Perché ogni volta che vedi un pene disegnato sul muro ti chiedi perché sei qui, che cosa cerchi». «Eh_ allora dimmi: tu che cosa cerchi? Cioè – gli chiedo cercando di buttarla in politica – che differenza c’è tra un volontario della festa del Pd e un volontario del Meeting?» «Ah! Questo – mi risponde Emanuele con aria solenne con il dito alzato – lo devi chiedere a Nicola». Ci incamminiamo verso la parte opposta della Fiera per andare da Nicola. Sono le 2 e mezza del mattino, in Fiera si sente solo il rumore dell’acqua delle fontane, tutto il resto, le mostre, gli stand, i ristoranti, i saloni, di solito affollati di decine di migliaia di persone per 11 ore al giorno, stanno riposando. Ne approfitto per dare un’occhiata alla mostra su Jannacci e Guareschi (straordinaria) mentre Emanuele mi cita a memoria «L’Annuncio a Maria» di Paul Claudel per spiegarmi che cosa è il destino. Ma sono ormai le 3 e, francamente, non mi ricordo esattamente che cosa ha detto, ma ho capito che il libro l’ha letto durante una vacanza degli universitari di Cl.

Finalmente arriviamo da Nicola che sta cercando di chiudere a mano un cancello di 20 quintali che non vuole chiudersi. Capelli lunghi, barbetta acchiappa-gnocca e orecchino fighetto. Ha carisma. In un mondo normale, lui sarebbe il leader, qui prende ordini da un mingherlino che ha la sua stessa età. Gli rifaccio la domanda e lui mi risponde: «Io, prima, facevo il volontario alla festa del Pd mentre ora lo faccio al Meeting e la differenza è che io qui non devo propagandare nulla, io qui ci vengo perché interessa me, perché rende felice me, non per un progetto di qualcun altro». La storia mi incuriosisce: «Io – continua – non promuovo nulla, nemmeno Cl». «Ma smettila, buffone! – gli dico con un eccesso di confidenza – tu non propagandi Cl? E allora che fai qui?». «Ma cosa mi frega a me – dice con l’accento padovano – di promuovere Cl? Allora stavo alle feste dell’Unità! Io ho verificato che Cristo è alla risposta alla domanda di bellezza che ho e sono qui perché qui sono felice. Lo faccio per me e basta». «No – gli replico – sei qui perché ci sono i tuoi amici: si chiama cameratismo». «Cazzo dici che è il primo anno che faccio il volontario?» mi risponde. «Dai, dai, poche pippe – lo incalzo – Cl usa la tua buona fede per fare affari: guardati intorno, stand di Finmeccanica, delle Ferrovie, della Regione Lazio, stand gastronomici, di abbigliamento_ che c’entrano tutti questi soldi con la tua domanda di felicità? Con Dio? Dai retta a me, Cl usa la tua buona fede per fare affari e così, mentre tu sei qui a contare quante auto ci sono nel parcheggio alle 4 di notte, i tuoi capi finiscono nei fascicoli dei pm». Interviene Emanuele, il ragazzino, «se sono colpevoli mi dispiace per loro perché non hanno capito che cosa è il movimento». Insisto: «Cl non conta niente, infatti ci sono meno politici dell’anno scorso». «Non è vero – replica – e comunque i politici per me sono irrilevanti, preferisco vedere la mostra su Peguy». E su questo, francamente, come dargli torto?

Si fanno le 5, io e Nicola decidiamo di fare una cosa da liceali: prendiamo una macchinetta elettrica e sfrecciamo a tutta velocità tra i padiglioni deserti. Zig zag, curve a gomito, salite e discese, sfioriamo una piscina rischiando di caderci dentro. E mentre guida, Nicola mi racconta che viene da una famiglia comunista e che all’Università è stato il rappresentante degli studenti per la lista di sinistra. «Quando ci vedevamo con i ciellini – racconta – vedevo che loro partivano dal problema per cercare una soluzione, noi dall’ideologia, che crea altri problemi». Mi spiega che è andato a Barcellona, ha visto la Sagrada Familia di Gaudì e che un giorno Emanuele l’ha invitato a un pellegrinaggio a Czestochowa e agli esercizi spirituali del movimento «e lì – racconta – ho sentito don Carròn (il successore di don Giussani alla guida del movimento di Cl, ndr) dire che c’è qualcosa di più grande di tutti i miei problemi e che io sono fatto per la bellezza e per la felicità e che bellezza e felicità sono domande che sono dentro ognuno di noi e che lo scopo della vita è trovare qualcosa di così bello e vero che sia all’altezza dei miei desideri allora_» e, insomma, nel giro di due anni Nicola è «entrato nel movimento» (si dice così). E il padre_ insomma_ non l’ha presa bene. Alle 5 e mezza del mattino scendo dalla macchinetta elettrica convinto di aver capito abbastanza. ma ho un’ultima curiosità: quella di sapere se lui si sente ancora comunista. Lui si gira e mi fa: «Io non sono battezzato, lo sarò ad aprile». Mi guarda, sorride e se ne va a contare i peni nei bagni. Direttore, questi, anche da morti, partono in vantaggio.

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