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Né gufe né fate ignoranti

C’è chi pensa che i numeri negativi per le economie di due partner fondamentali come Francia e Germania rafforzano la richiesta italiana di una maggiore flessibilità nelle regole europee. Ma sicuramente c’è un caso Italia, e se “non siamo il vagone di coda” e “l’Eurozona è in stagnazione” ho i miei dubbi che “l’Italia è in condizione di trascinare l’Eurozona fuori dalla crisi”.

La tempesta perfetta si è già annunciata con un meteo fuori dal normale e la tempesta economica è ancora furibondamente incalzante. L’Italia chiede flessibilità e politiche europee orientate alla ripresa economica ma ciò comunque comporta riforme costose nell’immediato, come giustizia, pubblica amministrazione e un’ulteriore diminuzione delle tasse sul lavoro. Vero è che per l’Italia alla guida del semestre Ue, si apre un varco e un dialogo/alleanza anche con altri paesi nel chiedere correzioni di linea. Ma cerchiamo di capire: i primi appuntamenti chiave per capire se questo sarà possibile sono il Consiglio europeo del 30 agosto, dedicato però soprattutto alle nomine, e soprattutto l’Ecofin informale previsto a Milano il 13 settembre.

La richiesta del governo italiano potrebbe essere quella di “incentivi” per quei Paesi che le riforme le fanno davvero. Incentivi che prevedono più tempo nell’abbattimento del deficit e del debito e maggiori margini di manovra sui conti senza incorrere nelle sanzioni. Ma noi che non ci sentiamo né gufe né fate ignoranti né tantomeno “carognesca elite”. Perché la recessione c’è e non ci consola la situazione franco/tedesca. Il nostro export coinvolge solo 12-15 mila imprese, la crescita si fa solo con gli investimenti, a loro volta figli di una politica economica e industriale da “piano straordinario Marshall all’italiana”. Non possiamo dare solo la colpa a Bruxelles e Berlino perché comunque noi dobbiamo rimboccarci le maniche poiché se anche la Germania si è fermata il crollo dell’export è stato con i paesi extra-Ue.

La ripresa è lenta e la recessione è svelta, e nonostante abbiano detto i giovani governativi che “non c’è bisogno di fare alcuna manovra correttiva”. Ma non siamo ignoranti e dunque studiamo: il pil scende al denominatore (tre decimi di punto nel primo semestre), il deficit programmato nel Def al 2,6% sarà comunque entro il 3%? La Ue non farà sconti e visto che non ci ha concesso di far slittare il pareggio di bilancio dal 2015 al 2016 ci chiederà di cominciare a limare fin d’ora.Gli 80 euro sono privi di reale copertura poiché non regge la previsione dei proventi derivanti dalla lotta all’evasione e dalla spending review, la vicenda dei “quota 96” è lì che canta poiché la maggioranza ha dovuto rimangiarsi quanto promesso. Per effetto della deflazione, gli interessi sul debito ci costeranno altri 17 miliardi, solo parzialmente compensati dai bassi tassi pagati sui titoli di Stato, e il l’intervento correttivo dei conti pubblici – per almeno una ventina di miliardi – è una evidente necessità. La manovra andrà fatta.

Noi chiediamo a Renzi di cambiare passo: sia coraggioso faccia tre passi avanti: il patrimonio pubblico deve servire sia all’abbattimento dello stock di debito che a rilanciare gli investimenti pubblici e favorire quelli privati, abbassando le tasse sulle imprese e sul lavoro. Metta in pista un piano industriale nazionale che ci consenta di incrementare la quota sul pil del manifatturiero e dei servizi ad alto valore aggiunto. Vada avanti con riforme strutturali vere che siano in grado di tagliare di 7-8 punti sul pil quella spesa pubblica che, ultimi calcoli, nel 2014 arriverà a superare gli 825 miliardi, 16 in più di quanto programmato e il 7,8% in più del 2013.

FORZA!!!!!

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